Mi diranno che ce l’ho col Pd, ma che ci posso fare io se la contorta ipocrisia che ci regala questo partito sbaraglia perfino la cialtroneria della concorrenza? Prendiamo i referendum sull’acqua. Il dibattito a Vicenza si è accesso di un botto: nel giro di due giorni si sono accavallati gli interventi di Giancarlo Corò (economista, ex presidente Acque Vicentine), dei convenuti dalla conferenza di ieri sera del circolo “Nessuno escluso”, e del sindaco Variati. Equamente spartiti fra favorevoli e contrari alla privatizzazione dell’acqua, i protagonisti della diatriba sono tutti del Pd o nell’orbita Pd. Nessuno escluso, appunto.
Corò sul GdV di ieri ci spiega perché è assurdo che il cittadino medio, questo pecorone, si pronunci su tematiche così tecniche come l’ingresso dei privati nella gestione del rifornimento e la remunerazione del capitale investito. Sostiene Corò che il primo darebbe una scossa positiva e la seconda farebbe da leva per raggiungere standard di efficienza decenti in quel colabrodo che è il sistema idrico nazionale. Siccome non sono un esperto come lui, gli faccio rispondere da un esperto che quanto meno sarà alla sua altezza: Riccardo Petrella, economista di vaglia, fondatore nel ’97 del Comitato per il Contratto mondiale sull’acqua. Intervistato sabato 4 giugno dal Corriere della Sera (non da una webzine anticapitalista), l’esperto spazza via ogni sofisma. Come prima cosa, afferma che stiamo parlando di una ricchezza collettiva che viene certamente gestita malissimo dal pubblico, ma «questo non significa che lo Stato debba derogare ai propri compiti». Seconda cosa: non esiste che si preveda l’obbligo di un profitto privato al 7%, come vorrebbe il decreto Ronchi, senza prevedere neanche un obbligo di investimento. In nessun paese sulla Terra si trova «il concetto di obbligatorietà del profitto». Una trovata da capitalismo cialtrone, all’italiana.
Tralasciamo l’opinione, pubblicata oggi sempre sul Gdv, di Paolo Gurisatti, che ricalca Corò aggiungendovi di suo il solito ritornello liberaloide dello Stato che deve essere minimo altrimenti è “paternalista”. Ma insomma, se non garantisce nemmeno più un bene comune come l’acqua, a che cavolo serve questo benedetto Stato? Con questa logica si dovrebbe privatizzare tutto, visto che il pubblico in Italia fa letteralmente acqua da tutte le parti. Ma andiamo avanti e veniamo allo pseudo-contraddittorio andato in scena alla libreria Galla. Promotore il circolo “Nessuno escluso” di Matteo Quero (che mi aveva invitato ad assistere ma purtroppo non ho potuto), l’incontro in realtà non ha messo a confronto due posizioni opposte, bensì leggermente diverse. Da una parte un professore universitario di Udine, Antonio Massarutto, dall’altra Stefano Fracasso, consigliere regionale del Pd. Il prof ha rilanciato la distinzione causidica fra la risorsa acqua, pubblica per definizione, e il servizio idrico, che si può benissimo privatizzare. Sulla base di che? Di un assioma non meglio dimostrato: «Credo sia necessario capire che il servizio richiede che a gestirlo sia un'impresa con costi e ricavi». E tanti saluti alla funzione del pubblico. Ma il bello viene con Fracasso. Lui voterà sì, cioè no all’assalto privatistico. Però con questa motivazione: «il parlamento deve riprendere in mano la questione e ripartire dalla testa. Prima va creato un organo regolatore forte e autorevole e solo successivamente si può pensare a privatizzare». Capito l’antifona? Sfruttiamo il referendum per dare addosso al governo Berlusconi, poi un giorno quando arriveremo noi a Palazzo Chigi penseremo a come privatizzare come si deve. Qual è la differenza fra i due? Solo di tempi, cioè di strumentalizzazione politica.
Chiudiamo col nostro caro primo cittadino Achille. Bando alla ciance: lui voterà sì a tutti e quattro i quesiti, e questa è la linea dell’amministrazione e del partito a Vicenza. Bene, bravo, bis. Però, anche se a lui non fa piacere passare per tale, essendo un esponente di spicco del Pd gli vogliamo, pacatamente, serenamente ricordare che la linea nazionale, invece, è andata alquanto a zig zag in questi anni. Meno di un anno orsono, non un secolo fa, ed esattamente il 16 novembre 2010, Bersani e altri insigni maestri di coerenza targata Pd depositavano alla Camera una proposta di legge ("Disposizioni per il governo delle risorse idriche e la gestione del servizio idrico integrato") che parla esplicitamente di stabilire una tariffa per remunerare i capitali investiti. Cioè precisamente ciò che vuole abrogare il secondo quesito sull’acqua, ossia una tariffa che includa un profitto minimo per l’investitore privato. Se non dovesse bastare, si dia un’occhiata al video (postato qui sopra) risalente al 2008 in cui il futuro segretario Pd, il Bersa, quello delle “liberalizzazioni”, magnificava la “partnership industriale”.
Perciò, che ora i signori della sinistra ringalluzzita e spavalda ci vengano a raccontare di essere per il sì ai referendum senza se e senza ma, se permettete fa girare un po’ le pale eoliche. (a.m.)
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