Se fossi un leghista vicentino, dopo l’intervista di oggi della segretaria provinciale Marita “Epurator” Busetti al Giornale di Vicenza non avrei più scusanti: me ne andrei seduta stante dal Carroccio, diventato un nuovo Pnf (Partito Nazionale Fascista). «In ogni democrazia chi perde dovrebbe allinearsi», ha detto sprezzante e nervosa. Curiosa idea di democrazia, questa. In realtà, in un partito che voglia dirsi democratico la minoranza è tutelata per principio, altrimenti c’è solo tirannide della maggioranza. Ma dubito molto che la Busetti abbia mai letto Tocqueville. Senza arrivare a tanto, la gerarca in camicia verde dovrebbe almeno sapere che una segretario ha il dovere di rappresentare tutti, e solo su questa base può giustamente pretendere il rispetto della “linea”. Invece nella Lega, da sempre e sull’esempio magno dell’Umberto dittatore a vita, si concepisce la militanza come obbedienza, chinare il capo e signorsì.
Lunedì sera il direttivo provinciale non ha eseguito l’ordine di esecuzione dei tre consiglieri provinciali Massimo Sbicego, Renato Roman e Fernando Zanini, i ribelli No Cis, solo perché la stampa era pronta coi taccuini sguainati, e il gruppo dissidente di Roberto Grande aspettava al varco la sentenza d’espulsione. Anche per quest’ultimo, candidato sconfitto dalla Busetti ma con un buon 40% di consensi, sarebbe pronto il foglio di via dal partito. Cosa attendono per mollare gli ormeggi, i leghisti con una coscienza: di essere cacciati via uno a uno? O vogliono darla vinta agli Epurator che pensano di continuare a trattare la base come una truppa di soldatini senza cervello?
Davide Lovat, il punto di riferimento dei ribelli, sta organizzando una nuova formazione politica. Per ora si è limitato a tenere alta la bandiera dello scontento con l’associazione “Identità e Tradizione”. Ma il passo successivo è radunare in Veneto leghisti schifati, ex leghisti espulsi come lui e non-leghisti vicini agli ideali originari della Lega. Obbiettivo: portarsi avanti rispetto alla deflagrazione che avverrà. Il punto è: quando? Salute fisica di Bossi a parte, il Carroccio schiera una serie di colonnelli che pur litigando a sangue fra di loro potrebbe comunque allungarne la sopravvivenza ancora per qualche anno. Per Lovat c’è il rischio del fuoco di paglia: un certo clamore iniziale, analogo a quello riscontrato dalle innumerevoli secessioni interne subite dalla Lega, e poi un’esistenza semi-clandestina, catacombale, schiacciata dall’immeritato copyright che Bossi&Co mantengono sull’idea federalista e identitaria. Con una differenza, rispetto ai transfughi di un tempo: che oggi, dopo dieci anni di berlusconizzazione, dopo la legnata presa alle recenti amministrative, dopo la deriva neo-democristiana unta di banche e poltrone, la “pancia” della Lega non ne può più. Come scriveva oggi il Corriere del Veneto, dai flussi elettorali pare che una parte del voto leghista si sia spostato sul Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, l’unico antisistema nel panorama attuale. Lo sfogatoio del partito, Radio Padania, registra una chiara nostalgia per le origini e una strabordante voglia di mandare a quel paese il nano di Arcore. Ma di mandarci anche Bossi, visto ancora come un santino intoccabile, e con lui tutta quanta la nomenclatura padana, per ora no. Almeno non pubblicamente. La base ha paura del salto nel vuoto e subisce troppo l’istinto del gregge. Dovrebbe invece farsi una ragione del fallimento del loro Capo e dei suoi ras. Ha scritto ieri su Libero un intellettuale di valore, anche lui un ex, Gilberto Oneto: «Oggi forse qualcosa si muove: una piccola e agguerrita Lega Padana ha fatto flop a Milano, ma ha raccolto percentuali significative a Pavia, Mantova e Brescia, nei bacini più autonomisti». Per i leghisti degni di questo nome è giunta l’ora di ripartire da zero. E questo non vale solo per loro. (a.m.)
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