Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

giovedì 17 gennaio 2013

I mercati, nostri veri padroni, hanno nomi e cognomi. Eccoli



Ce lo chiedono i mercati. Bisogna rassicurare i mercati. Come reagiranno i mercati. Prima era la crescita economica, da qualche anno a questa parte l’impostura si è tolta la maschera: è la finanza internazionale a dettare i compiti alla politica. Chi diavolo siano i mercati, però, è una questione lasciata regolarmente sul vago. 
Tanto per cominciare, bisogna aver chiara la sproporzione apocalittica fra l’ammontare di ricchezza reale, prodotta con l’agricoltura, l’industria, i servizi, cioè mediante il lavoro, e il quantitativo generato dalle transazioni finanziarie. Prendendo come misura di riferimento il valore (fallace ma comunemente accettato) del Prodotto Interno Lordo, quello del mondo intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di dollari, mentre il Pil della finanza è stato di 611 mila miliardi: otto volte superiore. Un’abnorme massa di denaro che gira vorticosamente da un angolo all’altro del pianeta, virtuale perché creata a prescindere dall’economia produttiva. Manovrata da potenze finanziarie di gran lunga più forti di qualunque Stato che hanno un nome e cognome. 
Secondo il Dipartimento del Tesoro americano, sono cinque Sim (Società di Intermediazione Mobiliare e divisioni bancarie), cioè J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc Usa, e cinque istituti di credito, ovvero Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse, Citycorp-Merrill Linch, Bnp-Parisbas. Nel 2011 queste dieci banche hanno conquistato il 90% del totale dei titoli derivati, che ancor oggi costituiscono la fetta più grossa dell’intero mercato della finanza globale. Per venire all’Italia, il debito pubblico è posseduto all’87% da banche più assicurazioni, formando insieme il gruppo dei cosiddetti investitori istituzionali, più noti come speculatori. Per l’esattezza, ad essere in mano estera è il 60% dei titoli italiani. Scrive l’economista Fumagalli: «i mercati finanziari non sono qualcosa di etereo e neutrale, ma sono espressione di una precisa gerarchia: lungi dall’essere concorrenziali… essi si confermano come fortemente concentrati e oligopolistici: una piramide, che vede, al vertice, pochi operatori finanziari in grado di controllare oltre il 70% dei flussi finanziari globali e,  alla base, una miriade di piccoli risparmiatori che svolgono una funzione meramente passiva». Lassù, nell’empireo della razza eletta, un club di professionisti della speculazione gestisce il mondo con l’unico fine di moltiplicare i propri profitti, e qua giù il risparmio, i soldi delle famiglie, li segue come un gregge di buoi. 
In quali modi specifici, nessuno saprebbe dirlo. «Chi sta dietro la maggioranza degli hedge fund e dei private equity? Che bilanci hanno? Zero notizie. E i fondi sovrani? Muovono migliaia di miliardi, ma solo quello norvegese dice come. I derivati, un multiplo del Pil mondiale, restano un mistero gaudioso, officiato da banche ombra controllate dall'oligopolio bancario americano più Deutsche Bank» (Massimo Mucchetti, Corriere della Sera, “Il sistema Tyson e le democrazie”, 11 settembre 2011). Federico Rampini, in un articolo rimasto famoso (“Wall Street, le cene del ‘club dei derivati’. Così i banchieri decidono la speculazione”, La Repubblica, 13 dicembre 2010), ne parla come di «una vera e propria "cupola" di grandi banchieri»: questa volta sono nove rappresentanti di altrettante banche, l’élite della prima Borsa del mondo, che controllano in modo esclusivo il commercio dei titoli “tossici”, i derivati, in gergo CDS (Credit Default Swaps). Sono in buona parte gli stessi che abbiamo già elencato: Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse. Secondo il New York Times, ogni terzo mercoledì del mese questi signori si incontrano a Manhattan per concordare le mosse e dirigere dall’alto, e in segreto, il mercato dei junk bonds, la spazzatura finanziaria. La fonte è, anche qui, ufficiale: un’inchiesta della Commodity Futures Trading Commission, organo di vigilanza federale degli Stati Uniti. 
Uno studio dell’Istituto Svizzero di Tecnologia pubblicato sulla rivista scientifica New Scientist ha scoperto che mettendo ai raggi X il groviglio di partecipazioni incrociate nella proprietà di tutte le 43.060 multinazionali presenti al mondo (su un database di 37 milioni di società, l’Orbis, risalente al 2007), è possibile enucleare un gruppo privilegiato di 1.318 investitori che detiene il 60% dell’economia reale mondiale, mobiliare e manifatturiera. Districandosi nei meandri degli assetti proprietari, i ricercatori hanno individuato un gruppo ancora più ristretto di nomi ancora più legati fra loro. In breve, il risultato finale vede 147 soggetti controllare il 40% della ricchezza industriale del pianeta. Meno dell’1% è a capo dell’intero intreccio. È composto per la maggior parte, guarda caso, da banche e fondi d’investimento. Gli stessi di sempre: Barclays, JP Morgan Chase, Ubs, Merryl Lynch, Deutsche Bank, Credit Suisse, Goldman Sachs, Bank of America, Unicredit, Bnp Paribas. I nodi che tengono avvinte questa super-entità in una specie di consiglio supremo della finanza non deve far pensare a un vertice che decide e procede all’unisono. Gli autori della ricerca ipotizzano con ogni verosimiglianza che un tale numero, 147, è ancora troppo elevato per concludere che sia operante una collusione scientifica. Non è dimostrabile, insomma, che agiscano di concerto, ingegnando complotti in sistematica concordia. E’ certamente più probabile che si considerino portatori di interessi comuni e facciano cartello quando risulti utile per aumentare i profitti o ci si debba difendere da tentativi di attaccarne la posizione di dominio (eventuali colpi di coda della politica o di qualche popolazione recalcitrante a farsi colonizzare), ma per il resto è realistico immaginare che si sfidino sul mercato. «La realtà è talmente complessa che dobbiamo rifuggire i dogmi, sia che si tratti di teorie cospirazioniste o di libero mercato», ha affermato uno degli scienziati, James Glattfelder. «La nostra analisi è basata sulla realtà». 
L’anonima sequestri finanziaria, come si vede, non è per niente anonima. 

Alessio Mannino
www.ilribelle.com 28 dicembre 2012