Ora i miei amici Disobbedienti (ironia) diranno che sono un culo di pietra, ma ieri per ragioni di lavoro non ho potuto partecipare alla manifestazione degli “indignados” qui a Vicenza. Avrei voluto, al di là di chi vi partecipava o meno, perché vedo nella protesta internazionale che ha preso il nome dalle piazze spagnole un risveglio nella direzione giusta. Che è questa: la politica è serva e complice della finanza speculativa, e noi siamo schiavi di un sistema che ha messo al centro l’economia rendendo l’uomo in carne e ossa una sua variabile sfruttabile a piacimento.
Gli animatori della contestazione nella mia città sono stati appunto i Disobbedienti di Pavin e Jackson. Sono l’unica forza locale che dà voce allo scontento, di questo bisogna dar loro atto. Con i limiti che si portano dietro, chiaramente. Ad esempio, quando durante il corteo in centro si sono fermati davanti alla sededi Confindustria, dal megafono Pavin incitava contro l’articolo 8 della finanziaria che prevede di fatto lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori con il via al licenziamento facile. In pratica se la prendeva con il governo Berlusconi, con Marchionne e quello che rappresenta. Benissimo, ma il marchionnismo e la politica che gli tiene bordone (sia di destra che di sinistra, non scordiamoci il Pd di cui fa parte il sindaco Variati) cosa sono in fondo, se non il prodotto della globalizzazione che ha i suoi centri di comando nelle banche centrali e nelle Borse? Per carità, nessuna lezione di no-globalismo ai nostri no-global, però il difetto dell’impostazione sta nel restringere lo scontro nella riduttiva ottica sindacalista del lavoro contro il padronato, mentre lassù nelle alte sfere i veri padroni, i banchieri, se la ridono sfregandosi le mani al pensiero che il loro potere assoluto, produrre moneta di loro proprietà, resta intoccabile. Cercate questa parola su Google, indignati: “signoraggio”. L’origine di ogni male sta lì, il resto viene di conseguenza.
Però in queste giornate d’indignazione (che culmineranno a Roma questo sabato in una grande marcia contro il debito) sta prendendo forma la coscienza che il bersaglio in cima alla piramide non è il governo di questo o quel cameriere di partito, ma è la piovra bancaria. Difatti i manifestanti vicentini hanno fatto tappa anche alla Bnl e Unicredit. Oh, finalmente. (Poi vabè, c’è stato anche il momento che serviva un po’ ad accontentare l’alleato Variati srotolando uno striscione sulla Basilica Palladiana che prendeva di mira il consiglio comunale di ieri voluto dal Pdl per parlare del problema sicurezza).
Il simbolo era la maschera beffarda del protagonista di “V for Vendetta”, il giustiziere anarchico profeta della rivolta pura e semplice. Personaggio bellissimo, che però rischia di fare la fine di Che Guevara: ridotto a icona-gadget commerciale, che basta indossarla e fa sentire ribelle. Amen, purtroppo siamo nell’epoca del consumismo usa e getta. Un’ultima nota a margine: l’unico politico di establishment presente in strada era il consigliere provinciale del Pd, Matteo Quero, in corsa per le primarie del suo partito. Ha detto di essere lì «da liberale e da imprenditore». Da imprenditore si capisce, perché l’imprenditoria vera, che macina sudore ogni giorno come chiunque lavora, è vittima di questo capitalismo totalitario esattamente come i giovani precari e i disoccupati cinquantenni. Ma il riferimento al “liberale”, caro Matteo, lo lascerei perdere. Se c’è una filosofia politica che via via nei secoli ha fornito l’arsenale ideologico alla mostruosa macchina economica che ci ha portato fin qui, questa è proprio il liberalismo. Di ascendenza rawlsiana o nozikiana, liberista o no, la dottrina liberale nel suo concetto di fondo ha messo sopra a tutto l’astratta “libertà” dell’individuo singolo, esattamente quel che ci voleva come paravento per l’individualismo opportunista del Mercato unico dio. Che è, alla fine della fiera, l’atteggiamento psicologico e la pratica sociale di chi interpreta tutto in termini economici, monetari. E sull’economia e la moneta, a comandare sono loro: i grandi banksters. Ecco, allora io la butto lì, magari a qualcuno può mettere curiosità: è il contrario del liberalismo una possibile via di salvezza, cioè il comunitarismo (ben diverso dal comunismo). Ma magari ne parlo un’altra volta. Intanto, indigniamoci. Nell’attesa di incazzarci sul serio. (a.m.)
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