Oggi sulla stampa vicentina abbondano le “monate”. Non saprei come altro definirle. Scelgo fior da fiore dallo sciocchezzaio – un divertimento amaro ma che tiene allenata la mente contro il nemico dell’intelligenza: il luogo comune.
Crédici, agli ufo. «Proprio dalla Banca Centrale Europea i giovani, e non solo, possono aspettarsi un aiuto concreto. La salvezza del portafoglio e qualche speranza di ridurre il debito cumulato. Sparare sulla Bce e invocare il default, invece, è pura follia»: Paolo Gurisatti, Giornale di Vicenza, pag. 1. Di grazia, dottor Gurisatti: se non dobbiamo prendercela con la Banca Centrale che controlla a suo insindacabile giudizio la leva monetaria europea, e attraverso questa condiziona alla fonte la politica economica degli Stati, con chi dovremmo farlo? So già la risposta: con la classe politica italiana, responsabile del debito pubblico dagli anni ’80 in poi. Vero, ma da Craxi a oggi la situazione è un pelo cambiata: c’è l’euro, la sovranità nazionale è al 90% trasferita alla burocrazia di Bruxelles, la globalizzazione dei “mercati” (con al vertice una decina di speculatori mondiali, mica un’entità divina) si è enormemente estesa. Di immutato resta, come dice il Berlusca, che «la gente non conta un cazzo». Questa di ridurre il problema al cortile italiano è la tattica scelta dai difensori dello status quo per dirottare il malcontento verso il facile bersaglio della “Casta”. E’ il giochino qualunquista di Gian Antonio Stella, ottimo cronista ma pessimo analista. La tara originaria del nostro sistema di credito sta nella sua privatizzazione a favore delle banche (si veda il video postato su questo blog sabato 15 ottobre). Certo i politici, di destra e sinistra, sono servi e complici, a volte stupidi come mosche cocchiere, dei feudatari della finanza, e per loro dovrebbe essere previsto il reato di concorso in associazione criminale finanziaria. Ma la responsabilità prima è dei signori banchieri, che ora hanno installato il loro beniamino di turno, quel Mario Draghi della Goldman Sachs, a capo della cupola. Trattasi di semplice analisi della struttura di potere della società. Ma Gurisatti e tutti i Gurisatti di questo paese credono agli ufo, arrivando all’impudenza di santificare gli unici che sulla crisi lucrano e per giunta ci deridono facendo sarcasmo: quei delinquenti organizzati della bancocrazia.
Faggin e l’Aborigeno. «Flessibili, internazionali e curiosi. Sempre». Questo è Federico Faggin, lo scienziato vicentino, ormai americanizzato, che ha inventato il microchip. E’ il mantra che ha recitato l’altro ieri ricevendo il master honoris causa dal Cuoa di Altavilla. Gloria all’inventore come uomo d’ingegno, ma mi permetto una riserva sulla sua filosofia di vita. Flessibili: se si intende in senso letterale, di elasticità mentale e di comportamento, è una verità banale. Ma formulata ad una scuola di specializzazione per manager, la traduzione non si è fatta attendere: «Attitudine al rischio, internazionalità e mentalità elastica sono alle basi di ogni grande storia d´impresa così come il saper incamerare gli insuccessi, senza arrendersi mai». Per un manager, ok. Il guaio è che il manager, o meglio, l’imprenditore, è il modello umano portato ad esempio per tutti. Tutti imprenditori di noi stessi, dovremmo essere. E se io non avessi l’attitudine né la voglia? Perché dovrei snaturarmi, essere ciò che non sono? Perché devo essere flessibile per forza? E poi non fingiamo di non capire: il tormentone della flessibilità come fosse un insegnamento zen serve da copertura ideologica alla precarietà di vita dei contratti atipici e a termine. Se uno vuole fare quella vitaccia per il miraggio della ricchezza (basata sulla povertà altrui), faccia pure, finchè dura la baracca. Ma c’è pure chi ha il diritto di rifiutarla. E di combatterla. Sull’ossessione di essere “internazionali” e “curiosi”, poi, c’è poco da dire. Lo dico con lo sketch di un magnifico Corrado Guzzanti di anni fa, che prendendo in giro la fissa dell’essere connessi col mondo intero tramite quell’arma a doppio taglio che è Internet, liquidava così la paranoia del “curioso globale”: «Aborigeno, ma io e te, che cazzo se dovemo di'?».
Rosso senza vergogna. «Non ho mai lavorato un giorno della mia vita con l’obbiettivo di far soldi»: Renzo Rosso, patron della multinazionale Diesel, neo-Cavaliere della Repubblica Italiana, Corriere del Veneto, pag. 15. Facciamoci una bella risata.
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