Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

sabato 8 ottobre 2011

E' morto Steve Jobs. E allora?


Perché Steve Jobs non mi ha cambiato la vita
Vorrei spiegare ai lettori del Foglio, ammesso siano interessati a un punto di vista tanto personale, per quali ragioni Steve Jobs non mi ha cambiato la vita (diversamente da quel che è accaduto a Jovanotti, a Beppe Severgnini e a quanto pare ad alcuni milioni di altre persone) e perché questo piagnisteo universale – da Obama a Filippo Rossi – sul genio che ci ha lasciati prematuramente, lasciando un vuoto incolmabile, mi sembra francamente esagerato e sospetto.
Bisognerebbe intendersi, per cominciare, sul concetto di rivoluzione applicato alla vita delle persone. Cos’è che ha realmente modificato l’esistenza quotidiana di miliardi di individui negli ultimi settant’anni, diciamo dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, in termini materiali e concreti, esonerandoli da incombenze e problemi secolari? Mi vengono in mente, a casaccio, la plastica e la lavatrice, e magari mettiamoci anche, giusto per apparire banali sino in fondo, gli antibiotici e l’elica doppia della molecola del Dna (che magari non sarà il “segreto della vita”, come si disse all’epoca della sua scoperta, ma insomma, un bel salto in avanti l’ha rappresentato). Non mi viene in mente, invece, l’attrezzo per ascoltare la musica mentre si corre o si sta seduti nel tram: rilassante e divertente, per carità, ma se non sbaglio c’era già prima di Jobs.
Intendiamoci, l’iPod, l’iPhone, l’iPad sono “fighissimi”, come dicono i miei nipotini: pieni di applicazioni, intuitivi, veloci, coloratissimi, ma già l’idea di un prodotto che cambia ogni anno e mezzo, che costringe milioni di persone a sbarazzarsi della versione “vecchia” per prendere quella appena lanciata sul mercato, più leggera di cinquanta grammi, dall’identico design ma più accattivante, che fa una cosa in più dell’altra ma ad una velocità maggiore, mi sembra una gran furbata commerciale: se la bulimia da consumo è un segno di cambiamento epocale, allora è vero, Jobs ha cambiato la vita di molte persone, rendendole però dipendenti non da una filosofia di vita quale non si era mai vista nella storia, ma da una strategia di marketing questa sì geniale e rivoluzionaria. La stessa che ha portato il Nostro a fare meglio, con più originalità e intelligenza, le cose che già altri facevano. E dunque a rendere esteticamente gradevoli e di più facile uso i personal computer. Ovvero a dare un nome proprio alle cose, a personalizzare con denominazioni intriganti e davvero easy oggetti altrimenti tutti eguali a se stessi e di solito aridamente marcati dai produttori: vuoi mettere la differenza tra chi ha l’iPhone (e per questa sola ragione pensa di appartenere ad una comunità di eletti) e chi, come il sottoscritto, possiede un Nokia-N95 avendo prima posseduto un Samsung SGH-S3000M. Ma questo appunto è marketing creativo, peraltro con venature gnostiche: fa volare le quotazioni in Borsa, crea utenti fedeli e devoti ad un marchio che entrano negli Applestore come si trattasse di un tempio e non d’un normale negozio, ma è tutto da dimostrare che ciò renda l’umanità migliore.
Se il mondo intero sostiene che Jobs era un genio, mi riesce difficile argomentare il contrario. Accettiamo dunque che lo sia stato, sapendo però che lo stesso verrà detto – ancor più a ragione, a mio giudizio – per Bill Gates e Mark Zuckerberg; e sapendo altresì che gli altrettanto geniali inventori di Internet e della posta elettronica – strumenti senza i quali la storia di Jobs nemmeno sarebbe cominciata e la vicenda personale di ognuno di noi sarebbe stata per davvero differente – non se li ricorda nessuno: forse sono ancora vivi, ma se sono morti di sicuro non si è andati oltre un trafiletto in cronaca. Perché quello che colpisce nel caso di Job è appunto il rilievo mediatico di questa morte, prematura e largamente annunciata. E il fatto che il cordoglio planetario si stia appuntando non, come dovrebbe essere normale, su un capitano d’industria di vaste idee, perciò regolarmente definito “intraprendente” e “visionario”, che ha contribuito a creare un sistema di organizzazione aziendale, una tecnica di vendita e una forma di relazione con i consumatori in effetti diverse da quelle dei diretti competitori (che è poi la vera ragione del successo della Apple, come ben sanno gli esperti di cultura d’impresa), ma sul fondatore di una sorta di religione pop o light, su un capo setta che sembrerebbe aver lasciato orfani milioni di devoti inconsolabili.
Morire (relativamente) giovani e drammaticamente, secondo un’antica legge, è preferibile che tirare le cuoia nel proprio letto ad un’età veneranda, se si vuole accedere se non al mito almeno alla leggenda. E’ accaduto anche stavolta. Ma va anche detto che le uscite di Jobs in pubblico degli ultimi anni, dimagrito a causa del male, spartanamente abbigliato in nero come si conviene ad un guru che abbia già preso distacco dal mondo, solo sul palco come si conviene ad un predicatore che debba annunciare verità universali alle folle, hanno senz’altro contribuito a creargli attorno un’aura misticheggiante: una scelta anche questa – non si offendano i vertici di Cupertino – abilmente studiata a tavolino, con l’evidente obiettivo di trasformare ogni lancio di un nuovo prodotto, per solito indirizzato alla rete vendita dell’azienda e agli operatori del settori, in una celebrazione liturgica in mondovisione. Geniale e mirabile, senz’altro, ma sempre di marketing stiamo parlando, applicato a quanto pare anche post-mortem con non poco cinismo.
Se poi si aggiunge il vuoto emotivo e spirituale che caratterizza l’epoca nostra, il senso di solitudine universale che le invenzioni alla Jobs hanno paradossalmente alimentato a dispetto del convincimento che, maneggiando un pezzo di plastica colorato o toccando uno schermo (siamo una civiltà regredita alla tattilità), si sia tutti fratelli e amici in rete, a contatto con l’umanità intera in ogni momento della nostra esistenza, si capisce meglio il diluvio di banalità encomiastiche cui stiamo assistendo: le stesse già sentite per Lady Diana o Michael Jackson. Un mondo sempre più abitato da coscienze fragili e inquiete, alla disperata ricerca di figure e personalità esemplari nelle quali riconoscersi, forse farebbe meglio ad andare in chiesa a pregare, piuttosto che portare fiori o scrivere messaggi disperati a ricordo dell’idolo del momento asceso in cielo. Con tutto il rispetto, è morto un inventore con un grande senso per gli affari. Umanamente mi dispiace, ma né piango disperato né mi sento meno solo di prima. E tranquilli che l’umanità, tra alti e bassi, andrà avanti lo stesso.
P.s.: “Intraprendente”, “visionario” e “geniale” si dovrebbe dire, alla lettera, anche di uno come Silvio Berlusconi, rispetto al quale ci si potrebbe chiedere se per caso non abbia a sua volta cambiato la vita di molte persone, almeno in Italia, rivoluzionando la comunicazione televisiva e di conseguenza l’immaginario di massa, ma so che il tema è controverso e difficile da approfondire con pacatezza, visto il clima d’odio e rancore che si respira dalle nostre parti, e per oggi ho deciso di non farmi troppi nemici. Ne riparleremo tra cinquant’anni.
Alessandro Campi
Il Foglio 7 ottobre 2011

8 commenti:

  1. Quando è morto Enzo Ferrari se ne andato un pezzo di genialità legata al mondo delle auto, plasmava modelli nuovi che facevano sognare, le auto esistevano prima ed sono esistono anche dopo.
    Non ha cambiato il mondo ma, per alcuni, lo ha reso più interessante.
    Ecco questo è Jobs, il resto è sprezzante speculazione mediatica sia da chi lo osanna (coccodrilli dell'ultima ora) sia da chi dice di ignorarlo "scrivendolo ad alta voce" (che controsenso!).

    Alessandro
    A me la morte di Jobs interessa perchè coinvolto in questo mondo informatico, il resto? Polemiche tra giornalisti...

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  2. Non si tratta di ignorare nè, ancor meno, di disprezzare, ma come minimo di ridimensionare.

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  3. http://informazioneconsapevole.blogspot.com/2011/10/laltra-faccia-dellapple.html ..

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  4. Beh, ma se non sbaglio Job è stato quello che ha diffuso la prima interfaccia grafica, e quella la vita ce l'ha cambiata veramente, a differenza di iPod, iPhone e iPad che io non ho e di cui non sento certo l'esigenza. Poi è ovvio che tutta questa deificazione è in effetti esagerata.

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  5. Fatti una vita..!se scrivi su questo blog..è anche opere di jobs

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  6. Veramente no: mai usato alcunchè col marchio della mela. Ma a parte questo, il ragionamento di Campi, che condivido, riguarda la sproporzione fra santificare un indubbio mago dell'informatica (e del marketing) e i geni che hanno cambiato veramente la vita dell'umanità. Senza gli inventori di Internet non esisterebbe questo blog. Senza Jobs, invece, esisterebbe eccome.

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  7. Condivido ad abundantiam. Aggiungendo un ‘aneddoto’ personale relativo all’evento. Quel giorno stavo andando a scuola, quando il GR ha annunciato, con toni eroico-luttuosi, la notizia. Poi sono arrivato, e ho dovuto spegnere. Così, per tutta la giornata sono rimasto col rovello. Chi c**** è questo Steve Jobs? E perché è così famoso? Pensate: non sapevo nemmeno chi fosse. Che scandalo. Solo la sera sono riuscito a sentire un GR per intero, e ho scoperto che era il fondatore della Apple. E dunque, tutto sto casino per un fabbricante di macchinette? Ecchecazzo. Scusate, ma i miei valori di riferimento sono diversi. Altri, sono quelli che mi hanno cambiato la vita. A me la vita me l’ha cambiata mia moglie, la donna più saggia che abbia mai conosciuto. E se questo ambito familista vi sembra troppo asfittico, posso dirvi che la vita me l’hanno cambiata i bambini che mi trovo davanti tutti i giorni, con la loro ineffabile bellezza interiore. E se anche questo vi sembra un po’ troppo particolare e sentimentale, posso aggiungere che a me la vita me l’hanno cambiata i libri. E non saprei quale scegliere, tra le migliaia che mi sono passati tra le mani. Forse, per nominarne uno solo – ma mi par quasi di far torto a tutti gli altri – la vita me l’ha cambiata “Il Ramo d’Oro” di James Frazer, che mi ha insegnato a rispettare il passato, e a vedere 'il mondo al di là'. Le macchinette di Jobs, quelle no: del resto, non ne possiedo nemmeno una. Mi dispiace per lui, come ho Compassione per qualsiasi essere senziente che perda la vita. Ma è morto immensamente ricco, è morto ‘bene’, è morto – se così si può dire – felice. Non capita a molti: è stato fortunato, e mi sembra che non ci sia altro da dire. Per il resto, le sue macchinette, tutte le macchinette, sono la spazzatura che ci sta avvelenando lo Spirito.
    Giuliano Corà, giulianolapostata@gmail.com

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