Stasera all’hotel Viest si raduneranno gli stati generali del Pdl vicentino per dare il via alla campagna di tesseramento che porterà al congresso locale. Ad oggi i berlusconiani berici sono pochini: 2 mila. Facendo un bello scontone al prezzo della tessera, da 50 a 10 euro, i vertici del partito contano di quadruplicare gli iscritti. D’altronde, c’è la crisi e il portafogli piange. Chiamarli ancora “berlusconiani”, a dire il vero, comincia ad essere improprio. Frondismi e prese di distanze a parte (vedi Franzina che si è accorto che il Capo pensa più alla gnocca che all’Italia), ormai il nome di Berlusconi è sparito persino dal simbolo su cui si barrerà la crocetta nella scheda elettorale, ammesso che il Popolo della Libertà continuerà a chiamarsi così. Sapete, il marketing impone continui rinnovamenti. E Silvio, logoro ed esausto, che pensa solo a far passare la prescrizione breve entro l’anno per farla franca al processo Mills, costituisce per i suoi non più il jolly acchiappa-voti, ma un ingombro, porta jella.
A Vicenza il pole position per le possibili primarie (non si è ancora ben capito se si faranno o no anche da questa parte dell’arco bipolare) c’è l’ex aennista Sergio Berlato, forte delle sue truppe cammellate di cacciatori. Curioso il comportamento di Berlato: avrebbe tutto l’interesse a starsene buono e raccogliere una facile vittoria, vista la disorganizzazione degli ex forzisti, e invece è un mese che sulla stampa annuncia sfracelli se non si andrà alla conta. Evidentemente gli interessa di più finire sui giornali che non conquistare l’agognato traguardo. Vallo a capire. Il coordinatore provinciale in carica, Pierantonio Zanettin, non proprio quello che si dice un uomo di polso, tiene in riga le file alla bell’e meglio, grazie al fatto che Costantino Toniolo, figura forte della compagine ex azzurra, ha scelto il profilo basso in questa fase pre-congressuale. Solite guerricciole per gli equilibri interni fra i ras (le correnti sono il ricordo di un passato dove le idee avevano ancora un’importanza) per il controllo delle future liste elettorali.
Ma mettiamoci nei panni di un elettore del Popolo delle Libertà (lo so che è dura, ma proviamoci ugualmente). In questi tre anni di governo Berlusconi, verosimilmente l’ultimo del declinante Cavaliere, si è visto sbattere in faccia tutta l’amara realtà: il partito per cui ha votato è peggio di Forza Italia e Alleanza Nazionale messe assieme, perché fondendo plastica e personalismi ha prodotto un pallone gonfiato di nulla, un Giuliano Ferrara moltiplicato per enne volte; il Capo si è rivelato con evidenza palmare un governante inetto e “malato” (copyright Veronica Lario), intento a rallegrare con legioni di prostitute il proprio viale del tramonto più che dare almeno l’impressione di guidare la nazione; il segretario, nuovo per modo di dire, Angelino Alfano, è solo un luogotenentino uscito dalla testa del sovrano; il Consiglio dei Ministri è roso da faide interne; lo stesso si dica nel corpaccione del partito, in cui pullulano le fronde organizzate (Scajola, Micchichè, Formigoni, Pisanu, Martino); in periferia, clientelismi, capi e capetti agiscono nella più completa anarchia; e a Roma ed ovunque cominciano i primi distacchi, i ravvedimenti, le folgorazioni, le delusioni a orologeria, insomma il fuggi fuggi dalla nave che affonda, secondo il più miserevole costume italiano.
Un comune pidiellino, che vivendo con l’equazione “soldi uguale felicità” ha creduto in buona fede a Silvio come a un mitologico Re Mida, adesso è veramente disilluso, scocciato, infastidito. E’ stanco della berlusconeide, è stufo di questo tirare a campare, di questa mediocrità diffusa, questo andazzo fra scandali e fallimenti. Se volge lo sguardo alla Lega, non è che vada molto meglio: anche lì zuffe interne, frustrazione, una montante delusione per il leader di sempre, il Bossi bollito e sbadigliante, can che abbaia ma non morde. Il suo eterno tabù, la sinistra, non può certo farlo guardare al Pd e men che meno a Di Pietro o Vendola. Magari, se è un ex dc, la sua attenzione andrà all’Udc di Casini e al suo Terzo Polo di sfigati, che comunque una fetta di voti gliela ruberà di sicuro, all’esanime Pdl.
Ma molti come questo signor Bianchi berlusconiano sfiduciato e arrabbiato, io credo, andranno a ingrossare l’esercito sempre più vasto degli astenuti, o comunque degli italiani che non si sentono più appartenere a priori ad una parte politica. La chiave dell’eventuale recupero di un Pdl mai davvero nato può essere solo il coinvolgimento diretto della base, l’impegno per costruire un progetto che giri pagina rispetto al berlusconismo. Individuato lo strumento, ossia le primarie su imitazione del centrosinistra, manca però il resto, che è quasi tutto: quali i valori fondanti, quali le idee trainanti per l’immediato, quale tipo di organizzazione sul territorio? Interrogativi forse superflui e ingenui, visto che né Alemanno alias destra corporativa e paracula, né Formigoni cioè CL, né Scajola (solo a nominarlo cascano le braccia) né gli altri aspiranti successori di Berlusconi sembrano indicare alcunché di differente e innovativo rispetto al miscuglio di liberal-liberalismo a parole e conservatorismo sociale nei fatti, che è stato la vera cifra del ventennio scarso di potere arcoriano. (a.m.)
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