La lottizzazione partitocratica è una piaga che il centrodestra ha inflitto a Vicenza al tempo del suo malgoverno, e non la rimpiango di certo. Ma passare dal manuale Cencelli a un sindaco dittatore che prende decisioni sbattendosene altamente della sua maggioranza, del suo partito e financo del rispetto delle forme istituzionali, mi sembra francamente troppo. Variati è un primo cittadino che interpreta il proprio ruolo come se lui comandasse in splendida solitudine, e i suoi consiglieri comunali fossero una truppa sull’attenti. E per fortuna che il partito a cui è iscritto si chiama “democratico”.
Or dunque, il prode Achille ha nominato il nuovo presidente della multiservizi municipale Aim, ma lo ha fatto in gran segreto, tenendo all’oscuro la maggioranza di centrosinistra in consiglio comunale. Lui si difende con una scusa un po’ grottesca (evitare le fughe di notizie da parte di consiglieri chiacchieroni verso quei ficcanaso dei giornalisti) e con una motivazione di sostanza: il sindaco sono io e decido quel che mi pare perché non mi faccio dettare le scelte dai partiti. Ora, le obiezioni sono due. Primo: di quali partiti sta parlando? Il centrosinistra in aula è composto da: 1) la lista civica che porta il suo nome, una guardia di fedelissimi pretoriani; 2) un’altra lista civica, Vicenza Capoluogo, interessata a mantenere il proprio orticello elettorale; 3) una terza lista civica, Impegno a 360°, cioè Cicero e Pigato, e ho detto tutto; 4) il Pd. Di nome trattasi di un partito, addirittura del maggior partito di opposizione a livello nazionale, che mantiene una certa presa sul territorio cittadino tramite i circoli di quartiere. Di fatto, è talmente privo di autonoma iniziativa rispetto all’amministrazione, talmente succube di Variati, che come soggetto politico incisivo non c’è, non esiste. Quest’estate la punta massima di vitalità dimostrata dal Pd vicentino è stata la zuffa fra il segretario Enrico Peroni e il suo ex sfidante Luciano Parolin sul registro delle unioni civili e sulle “lobby gay”. Una polemica di cui veramente non si sentiva il bisogno, visto che la politica di un Comune dovrebbe occuparsi di concretezza amministrativa e non essere occupata da diatribe puramente ideologiche, che alzano un gran fumo mentre altri cuociono l’arrosto.
E all’arrosto, nel frattempo, ci ha pensato Variati, mettendo al vertice di Aim un uomo uscito dal cilindro. E veniamo alla seconda obiezione: Paolo Colla, manager nel settore risorse umane di un’azienda di surgelati, si dimostrerà pure capace e degno della nomina, ma essendo quest’ultima squisitamente una scelta politica (tanto è vero che la fa il sindaco), sottostà a un criterio politico. Quale è il criterio, ripeto politico, che ha fatto preferire Colla ad altri manager, magari esperti del settore? Sia dai banchi del Pdl (Meridio) sia da quelli di maggioranza (l’indipendente Balzi) è stato ipotizzato che Colla, in gioventù consigliere comunale del Partito Liberale, rappresenti una concessione di Achille al suo entourage. Cioè al suo braccio destro Jacopo Bulgarini e al comune amico Matteo Quero, ex assessore oggi in consiglio provinciale. Effettivamente il legame fra Colla e Quero è noto. Ed effettivamente non c’è altra spiegazione plausibile.
C’è qualcosa di male in questo? Nella persona di Colla, nessuno (semmai nelle sue qualifiche: quanto ci capisce di utilities?). E nemmeno nell’amicizia fra Variati, Bulgarini e Quero. Il difetto, come dicevo all’inizio, sta nel metodo: un sindaco non può occupare caselle tanto importanti senza degnarsi neppure di consultare chi lo sostiene. Un conto è farsene condizionare, lasciandosi strattonare e umiliare come accadeva al predecessore Hullweck; un altro è trattare il proprio partito e la propria maggioranza come dei soprammobili.
Il caso Colla è solo l’ultimo sfoggio del sistema di potere variatiano: accentrato, autocratico, personalistico. Mi verrebbe da dire craxiano, se non fosse che Craxi aveva dietro di sé un partito vero, il Psi (per quanto corrotto e marcio fino al midollo). Variati, invece, ha come interlocutori da un lato un giovanissimo segretario cittadino, Peroni, che non conta un accidente e gli fa da stuoino, e dall’altro lato una palude di consiglieri considerati meno di zero, che per giunta fanno pubblico autodafé con un documento unitario in cui lo magnificano come grande “leader”. Non li calcola, li sbertuccia e loro, dopo essersi giustamente un filo incavolati, si rimettono in riga e si gettano ai suoi piedi in adorazione. Bravi, proprio bravi. (Sugli assessori stendiamo un velo pietoso: se la fanno tutti addosso).
In tutta questa faccenda l’unico che ha espresso una sia pur timidissima critica è stato il presidente del consiglio comunale, Gigi Poletto. L’anima più a sinistra del centrosinistra berico soffre parecchio: propone il registro delle ultime volontà, e Variati lo stoppa; è uno scrupolosissimo difensore delle norme e delle formalità, e Variati offende la maestà rappresentativa del consiglio comunale, che lui presiede, schierandosi per i referendum senza quorum; e vede con malinconia che il Comune è gestito in modo sempre più sfacciatamente monocratico, con le sue tanto amate idee di sinistra vecchio stampo, laica e giacobina, sparite dal dibattito locale. Non resta che l’“esilio” in Provincia l’anno venturo, a Poletto e agli altri ex diessini. Ma il dipietrista Silvano Sgreva, invece? E l’amabile Sandrino Guaiti? Non si sono sentiti granchè. Possibile che a fare un minimo di opposizione siano rimasti soltanto l’eretico Balzi e l’attivissimo (ahimè) Meridio? Questa città sta vivendo un autentico deficit di democrazia. Quando chi governa non ha qualcuno che gli si oppone, mettendolo alle strette, chiedendogli conto dei perché e dei per come, è facile che abusi del proprio potere. La cartina di tornasole l’avremo sull’urbanistica, che vuol dire grossi interessi e fiumi di denaro. Lì si scopriranno definitivamente i giochi. E dai segnali già inviati (nuovo polo civico, stadio in zona est, neo Pp10) il futuro non appare roseo. (a.m.)
Nessun commento:
Posta un commento