Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

lunedì 5 settembre 2011

Evasione: lo Stato non siamo noi


Bentornati, miei cari manzoniani venticinque lettori. Riapro i battenti parlando, tanto per cambiare, di cattive notizie. In questo torrido finale di agosto è stata scoperchiata la fogna dell’evasione fiscale della concia in Val Chiampo, con una Guardia di Finanza che ha fatto quel che avrebbe dovuto fare da tempo: scoprire che grossi gruppi industriali come la Mastrotto hanno frodato l’erario e pagato in nero i dipendenti per anni. Le dimensioni contabili dei reati qui non interessano, importante semmai è che gli accusati abbiano ammesso di essere ricorsi all’illegalità e al nero, seppur minimizzando e giustificandosi. L’aspetto che conta, per me, è piuttosto l’eterna scusante che viene addotta dagli evasori di tutte le latitudini, Sud compreso: “così fan tutti”, ergo, così faccio anch’io.
Questo, a casa mia, significa che lo sviluppo di un distretto gioiello dell’industria italiana, la concia arzignanese, non è stato deviato o deformato da qualche furbetto o furbastro: si è costruito e ha prosperato anche grazie alla truffa verso lo Stato. Si leggano le “confessioni” anonime di dipendenti o ex dipendenti pubblicate dal Giornale di Vicenza di questi giorni: è tutto un “si sapeva”, “è giusto così”, “o si accetta il sistema o si è fuori”. Una vera e propria apologia del fuorilegge, sintomo che l’autorità, ad Arzignano ma non solo lì, è vista come nemica, se va bene come un fastidio, in ogni caso una scocciatura che ostacola il far schei. Perché alla fine della fiera tutto gira intorno ai soldi, a quanti se ne possono avere e  quanti se ne possono nascondere ad un vorace Stato gabelliere.
Intendiamoci: il problema del fisco iniquo, vessatorio e ammazza-imprese c’è. Così come si può capire eccome, in particolare in tempi di magra come gli ultimi anni, se un lavoratore arrotonda lo stipendio con straordinari pagati umma umma. Ma capire è una cosa, giustificare un’altra. Tanto più se si tratta di un andazzo che andava avanti da mo’, il che equivale a una scorciatoia permanente, strutturale, insomma alla norma quando dovrebbe essere al massimo, in condizioni disperate, un’eccezione d’emergenza.
Nel caso Mastrotto, invece, complice un’infame legislazione internazionale che favorisce chi ha i mezzi e le conoscenze per accedere ai paradisi fiscali, pare esserci un ben congegnato meccanismo per far sparire somme di denaro ingentissime, che gridano vendetta se confrontate alle buste paga torchiate con la trattenuta alla fonte. E’ l’ingiustizia sociale a rendere l’evasione un crimine inaccettabile.
Perché se invece, a difesa della legalità, si invoca il rispetto del patto civile con lo Stato, allora permettetemi di dissentire. L’Italia è un paese fondato sul lavoro depredato: spreme come limoni chi i soldi se li suda davvero, e parlo dei dipendenti come delle partita Iva, dell’artigiano come del piccolo imprenditore o del commerciante. Chi ciancia di legge uguale per tutti e di contratto sociale è un’anima candida o un patetico bugiardo: l’intera penisola è una sacca di evasori, elusori e incarogniti col fisco. Le tasse sono troppe, pesano troppo e sono complicate fino all’assurdo. Però risolvere quest’odio verso lo Stato-sanguisuga con la viltà del delinquente comune è indegno di chi tiene all’onestà - che è un sentimento prepolitico - all’onore, al senso di giustizia, e alla faccia. Perché averla conservata, una faccia, serve quando poi giustamente ci si lamenta dei disservizi, della manchevolezze, delle porcherie e dei misfatti subìti per colpa di uno Stato che non siamo più noi, ma sono loro, è cosa loro, di lorsignori delle caste parlamentari e finanziarie. E allora facciamolo ridiventare res publica, una cosa di tutti, battendoci per cambiarlo, eliminandone le storture fra le quali un sistema fiscale esoso e grassatore. Magari anche, se necessario, con lo sciopero fiscale. Ma a viso scoperto, con un atto di disobbedienza, non come ladri che si nascondono all’isola di Man dietro conti off-shore. Utopia, lo so. Manca una forza politica che abbia il coraggio di sostenere che questo Stato va ribaltato da cima a fondo. E questo perché i partiti sono una fra le oligarchie che di fatto lo costituiscono. Altro che “lo Stato siamo noi”. (a.m.)

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