Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

mercoledì 9 novembre 2011

Berlusconi e la posizione del dimissionario

Berlusconi è stato dimissionato. Dal vero potere sovrano che ci governa, che sta a Bruxelles e Francoforte per conto dei signori dei mercati e dell’America padrona. L’umiliante ultimatum via lettera in cui il commissario europeo Olli Rehn ha tirato per le orecchie lo scolaretto Tremonti, facendogli l’interrogatorio e intimandogli di fare rapporto ogni tre mesi agli emissari Ue, è soltanto l’ultimo episodio della presa di potere finale da parte della tecnocrazia finanziaria. In questi mesi abbiamo assistito alla parabola discendente di un premier e di una maggioranza parlamentare già in bilico sotto i colpi di una manovra di logoramento che è partita coi declassamenti sul rating, per continuare col su-e-giù ricattatorio dello spread e il diktat Bce e finire con le risatine della premiata coppia Merkel-Sarkozy e l’ordine di sfratto firmato Rehn.
In questi anni Berlusconi è andato allo sbando. Non parliamo della sua incontinenza sessuale, ma della sua schizofrenica politica estera ed energetica. Da una parte si è steso a stuoino alle più disonorevoli richieste americane (vedi cablo Wikileaks), dicendo signorsì sull’Afghanistan, sulle basi in Italia e arrivando persino a smentire clamorosamente il suo vergognoso bacio dell’anello a Gheddafi unendosi all’alleanza occidentale che ha mosso guerra e ucciso il dittatore libico, facendo della Libia un protettorato (con il valido aiuto del Qatar ventriloquo dell’Arabia Saudita, per altro). Dall’altra aveva appunto osato troppo con un trattato di amicizia con Tripoli e trescando con Putin con l’obbiettivo, magari condito di ritorni economici personali com’è suo costume, di diversificare le fonti di approvvigionamento italiane occhieggiando al gasdotto sul Mar Nero che piace tanto alla Russia ma che non piace agli Usa. E poi, decisiva, si è aggiunta la finanza che tira i fili della troika Ue-Bce-Fmi. Il Berlusca è stato un liberale alle vongole che non ha privatizzato, non ha fatto abbastanza morti nel sociale e non ha fatto quella “riforme” che le banche e gli speculatori bramano con l’acquolina in bocca per finire il lavoro del ’92-’93 e occupare altri assets strategici nazionali. Così è stato licenziato. Lui cerca di resistere con la trovata tipicamente italiana delle dimissioni posticipate. Può darsi che la palude parlamentare gli consenta di tirare in lungo l’approvazione della legge di stabilità fino a fine anno, così magari da varare quelle leggi ad personam e ad castam (bavaglio alle intercettazioni e prescrizione breve) che stanno a cuore a lui e non solo a lui. Ma la sua fine, intrappolato nei bizantinismi di palazzo fra traditori e scadenze d’aula, ingloriosa per uno che aveva fatto del piglio aziendalista il suo marchio vincente, è segnata. Il funzionario Bce Napolitano è pronto alle consultazioni, mentre da destra e dalla sinistra IdV-Sel si chiede a gran voce, almeno a parole, le elezioni anticipate.
Ora, le elezioni sono un'illusione di democrazia e non sono affatto la soluzione. Schiavi come siamo di un'Europa agente della globalizzazione, eterodiretta dai banksters (soprattutto francesi e tedeschi) e dai finanzieri che muovono i mercati, che a Palazzo Chigi vi sia un governo Berlusconi-Bossi o uno Casini-Bersani-Vendola-Di Pietro, la musica non cambia, a cambiare sono soltanto gli utili idioti locali. Certo, un governo di emergenza guidato dall’innominabile Monti, caro al Pd e al Terzo Polo, rappresenterebbe la personificazione perfetta del nostro commissariamento, ma la sostanza resterebbe identica. In Italia si fa a gara a fare i lustrascarpe degli strozzini d’Oltralpe.
Alessio Mannino
www.ilribelle.com 9 novembre 2011

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