Si può compensare o ridurre il danno rappresentato dalla più grande base militare Usa in Europa in costruzione al posto di un’ex aeroporto civile, tolto d’imperio alla comunità locale, da uno Stato che si priva di un’area di sua proprietà pur di obbedire ai desiderata di una potenza straniera, alleata di nome e padrona di fatto? Per un cittadino che non voglia rassegnarsi alla condizione di suddito, la risposta non può essere che no. La nuova caserma al Dal Molin di Vicenza era e resta un clamoroso abuso: di sovranità nazionale, perché l’Italia, indifferentemente governata dalla destra o dalla sinistra, ha regalato una porzione di territorio a Washington che vi installa truppe e armamenti usati per guerre americane (Irak, Afghanistan); di sovranità locale, perché Roma non ha riconosciuto alcun diritto di autodeterminazione alla popolazione vicentina negandole finanche una semplice consultazione (avvenuta comunque in modo autogestito, senza valore legale), e questo in base a un’inesistente natura di “difesa nazionale” attribuita a un insediamento interamente extraterritoriale; infine è stato uno stupro di democrazia - la tanto decantata democrazia - perché a vent’anni dalla fine della Guerra Fredda il trattato bilaterale del 1955 che ha dato legittimità formale al via libera italiano è coperto da un anacronistico segreto che ha reso impossibile qualsiasi trasparenza sui lavori, sulle conseguenze ambientali, su eventuali dotazioni belliche, e che soprattutto nega agli italiani tutti di poter rifiutare, se lo volessero, concessioni così umilianti e arbitrarie.
Detto questo, si può capire che gli amministratori locali cerchino di salvare il salvabile e portare a casa almeno qualche contropartita per non vedersi cornuti e mazziati. Mercoledì 6 luglio il sindaco Achille Variati (Pd) ha firmato un protocollo d’intesa col governo in cui ottiene un magro piatto di lenticchie: 10,5 milioni di euro per la bonifica del terreno rimasto libero per farsi il suo amato Parco della Pace (foglia di fico, ahimè, della sconfitta del No Dal Molin, anche se sempre meglio di ulteriori cementificazioni lobbistiche), e l’impegno, con tanto di data (31 marzo 2012), a sbloccare il finanziamento della tangenziale nord che dovrà collegare la nuova all’altra base americana, la Ederle, e che sarà in capo all’autostrada Brescia-Padova su mandato dell’Anas. Tutto qui? Tutto qui. Il solito, sgradevole trionfalismo di Variati non è giustificato da nulla. Primo, perché il parco che sorgerà accanto al Dal Molin Usa resterà di proprietà del demanio militare e lo Stato potrà riprenderselo quando vuole, magari per ampliare ancora la caserma se mai un bel giorno il Pentagono, padrone a casa nostra, lo reclamasse. Per soprammercato, i costi della manutenzione della futura zona verde saranno a carico del Comune, cioè dei vicentini. Secondo, come ha fatto giustamente notare in qualità di presidente della Brescia-Padova il capo della Provincia, il leghista Titti Schneck, la promessa di assegnare il cantiere della tangenziale all’autostrada significa fare i conti senza l’oste: la società non può impegnarsi in nessun progetto a lungo termine dal momento che la concessione scade nel 2013 e il suo rinnovo al 2026 è appeso al sì della Provincia di Trento alla realizzazione della Valdastico Nord.
Un minimo senso della responsabilità imporrebbe da un lato che l’area lasciata libera dal diktat statunitense fosse stata trasferita al patrimonio comunale come risarcimento quanto meno simbolico alla calpestata Vicenza, e dall’altro che i soldi per la tangenziale e per le altre opere di raccordo e sostenibilità urbanistica fossero stati garantiti dagli Americani. Ma c’è il fatto che gli Stati Uniti non sborsano un dollaro per niente che non sia utile nel perimetro delle loro basi. Perciò, se l’accordo verrà rispettato, saranno i clienti dell’autostrada coi loro pedaggi a pagare una tangenziale di quasi 300 milioni di euro. Questo è il mesto epilogo di una lotta, quella contro il Dal Molin a stelle e strisce, che era stata un punto di riferimento per l’orgoglio nazionale, democratico e localista. Almeno lo è stata fino a quando i No Dal Molin, succubi del riflesso pavloviano a sinistra, non l’hanno consegnata nelle mani di un abile politicante come Variati, che l’ha cavalcata e poi scaricata, e che oggi canta vittoria sulle rovine di un danno a cui si è aggiunta un’amara beffa. (a.m.)
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