A me pare che l’Italia assomigli al signor Guglielmino, il pensionato dell’hinterland torinese che ieri non ci ha più visto dalla rabbia e, uccisa la moglie con un colpo di pistola, ha bruciato la casa e si è sparato.
Anni di stillicidi fiscali, di adempimenti vessatori, di soldi che non bastano mai, di un continuo tormento di carte, bolli e controlli. L’inferno quotidiano che tutti conosciamo: l’assurdità della burocrazia, il formalismo assillante, la depredazione legale dei frutti della nostra fatica. Una perenne frustrazione sopportata stoicamente, ingigantita dal senso di solitudine che col suo velo nero imprigiona la vecchiaia nell’epoca del benessere di plastica. Quell’incessante, martoriante, cupo martello che demolisce la tua fiducia a piccoli ma continui colpi: un’ingiustizia oggi, un’ingiustizia domani, e tu sempre lì, a subire senza possibilità di riscatto. Perché la comunità come àncora di salvezza non esiste più: vivi, come l’ottantacinquenne Guglielmino, in un buco di appartamento di un condominio di periferia anonimo come le facce che incroci ogni giorno. Perché tu, scarto della società, pensionato con 600 euro al mese o lavoratore con uno stipendio eroso dagli imperscrutabili desideri dei mercati internazionali, giovane precario o disoccupato privato del futuro, tu che devi combattere per la sopravvivenza, i paroloni e le vuote formule della politica televisiva sai dove gliele ficcheresti, agli infami e agli idioti che provano ad ammansirti inzuccherandoti la storia. Ma la tua storia la conosci bene, e non ti fai abbindolare.
Così un brutto giorno, dopo aver ingoiato una vita di soprusi, tu che magari sei un mite, un comune e pacifico cittadino, esplodi perché ti hanno tagliato la luce elettrica. Il delirio dell’anziano, normalissimo Guglielmino è molto umano, troppo umano. La sua follia omicida e suicida è abominevole ma non è incomprensibile. Parla a ciascuno di noi, sudditi di un sistema diretto da nonsisachi negli uffici della Bce, dell’Fmi, delle agenzie di rating e nelle tresche dei Bisignani di turno, su cui non abbiamo nessun controllo né possiamo averlo, nonostante i nostri bei giochini elettorali e le balle che ci raccontiamo per non affrontare il disagio di un’esistenza affannata, iper-regolamentata, ultra-competitiva, spietata coi deboli e con chi non sta al suo passo frenetico. Il raptus del povero Guglielmino è la rivolta del “cane di paglia”, degli eternamente sconfitti contro la prepotenza, l’arroganza, la sopraffazione. Ricordate la Bibbia? Terribile è l’ira del mansueto. (a.m.)
perfetto!
RispondiElimina