Le parole sono importanti.
Ieri ne ho avuto conferma leggendo il fondo domenicale del direttore del
Giornale di Vicenza, Ario Gervasutti, che nell’elencare vari fatti che a suo
dire sarebbero di poco o nullo interesse per gli italiani che tirano la carretta,
dà sue personalissime definizioni di due fra essi che hanno occupato le prime
pagine di questi giorni.
La prima: «…Berlusconi è
ancora sotto lo schiaffo della magistratura e non può nemmeno restituirlo
verbalmente perché se si azzarda gli revocano l´affidamento ai servizi sociali».
Silvio Berlusconi è stato condannato con sentenza definitiva della Cassazione
per frode fiscale. Gli schiaffi non c’entrano: ha avuto diritto, come tutti gli
imputati hanno nel nostro ordinamento, a tre gradi giudizio, e ora il tribunale
di sorveglianza ha deciso che sconterà la pena ai servizi sociali e non ai
domiciliari. Il sostituto procuratore generale di Milano, Antonio Lamanna, ha
fatto presente che il pregiudicato Berlusconi deve astenersi dall’attacco personale
a singoli magistrati, com’è accaduto quando, prima dell’udienza del 10 aprile,
ha apostrofato con l’epiteto “mafia di giudici” proprio quelli che hanno
stabilito la misura alternativa. Non è una disfida d’opinione fra liberi
cittadini: è l’insulto a pubblici ufficiali da parte di un delinquente.
La seconda: «…lo storico
collaboratore del Cavaliere, Marcello Dell´Utri, sceglie (inutilmente) di
sottrarsi a un possibile arresto riparando altrove». Ma che bell’eufemismo. Dell’Utri non è
riparato, si è dato alla fuga. Una volta si sarebbe detto: alla macchia. Il suo
arresto non è una bizzarria delle toghe: è stato condannato dalla Corte d’Appello
di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, che lo ha definito «mediatore
contrattuale» del patto di protezione della mafia siciliana a Berlusconi,
cominciato nel 1974 e durato 18 anni. Quest’ultimo, scrivono i giudici, ha
ottenuto «la garanzia della protezione personale… tramite l’esborso di somme di
denaro che… ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri… assumendo Vittorio
Mangano ad Arcore». Ieri sul Corriere della Sera l’onesto Sergio Romano ha
scritto, con una punta d’ingenuità, che Forza Italia dovrebbe «semplicemente,
senza distinzioni fumose e poco convincenti, disapprovare e condannare». Ecco,
appunto.
Berlusconi è un criminale
fiscale e Dell’Utri, se la Cassazione domani 15 aprile lo confermerà, un
alleato della mafia. Usiamole, le parole adatte. Chissà quali avrebbe usato
Indro Montanelli che giusto vent’anni fa chiudeva La Voce, figlia abortita dell’abbandono
del suo Giornale trasformato in house organ del berlusconismo militante. Lui sì
che gliele aveva cantate chiare, al suo ex editore e ai suoi scagnozzi. a.m.
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