Ce lo chiedono i mercati.
Bisogna rassicurare i mercati. Come reagiranno i mercati. Prima era la crescita
economica, da qualche anno a questa parte l’impostura si è tolta la maschera: è
la finanza internazionale a dettare i compiti alla politica. Chi diavolo siano
i mercati, però, è una questione lasciata regolarmente sul vago.
Tanto per cominciare, bisogna
aver chiara la sproporzione apocalittica fra l’ammontare di ricchezza reale,
prodotta con l’agricoltura, l’industria, i servizi, cioè mediante il lavoro, e il quantitativo generato
dalle transazioni finanziarie. Prendendo come misura di riferimento il valore
(fallace ma comunemente accettato) del Prodotto Interno Lordo, quello del mondo
intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di dollari, mentre il Pil della
finanza è stato di 611 mila miliardi: otto volte superiore. Un’abnorme massa di
denaro che gira vorticosamente da un angolo all’altro del pianeta, virtuale
perché creata a prescindere dall’economia produttiva. Manovrata da potenze
finanziarie di gran lunga più forti di qualunque Stato che hanno un nome e
cognome.
Secondo il Dipartimento del
Tesoro americano, sono cinque Sim (Società di Intermediazione Mobiliare e
divisioni bancarie), cioè J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs,
Hsbc Usa, e cinque istituti di credito, ovvero Deutsche Bank, Ubs, Credit
Suisse, Citycorp-Merrill Linch, Bnp-Parisbas. Nel 2011 queste dieci banche
hanno conquistato il 90% del totale dei titoli derivati, che ancor oggi
costituiscono la fetta più grossa dell’intero mercato della finanza globale.
Per venire all’Italia, il debito pubblico è posseduto all’87% da banche più
assicurazioni, formando insieme il gruppo dei cosiddetti investitori
istituzionali, più noti come speculatori. Per l’esattezza, ad essere in mano
estera è il 60% dei titoli italiani. Scrive l’economista Fumagalli: «i mercati finanziari non sono qualcosa di
etereo e neutrale, ma sono espressione di una precisa gerarchia: lungi
dall’essere concorrenziali… essi si confermano come fortemente concentrati e
oligopolistici: una piramide, che vede, al vertice, pochi operatori finanziari
in grado di controllare oltre il 70% dei flussi finanziari globali e,
alla base, una miriade di piccoli risparmiatori che svolgono una funzione
meramente passiva». Lassù, nell’empireo della razza eletta, un club
di professionisti della speculazione gestisce il mondo con l’unico fine di
moltiplicare i propri profitti, e qua giù il risparmio, i soldi delle famiglie,
li segue come un gregge di buoi.
In quali modi specifici,
nessuno saprebbe dirlo. «Chi sta dietro la
maggioranza degli hedge fund e dei private equity? Che bilanci hanno? Zero
notizie. E i fondi sovrani? Muovono migliaia di miliardi, ma solo quello
norvegese dice come. I derivati, un multiplo del Pil mondiale, restano un
mistero gaudioso, officiato da banche ombra controllate dall'oligopolio
bancario americano più Deutsche Bank» (Massimo Mucchetti, Corriere della Sera, “Il sistema
Tyson e le democrazie”, 11 settembre 2011). Federico Rampini, in un articolo rimasto
famoso (“Wall Street, le cene del ‘club dei derivati’. Così i banchieri
decidono la speculazione”, La Repubblica, 13
dicembre 2010), ne parla come di «una vera e propria
"cupola" di grandi banchieri»: questa volta sono nove
rappresentanti di altrettante banche, l’élite della prima Borsa del mondo, che
controllano in modo esclusivo il commercio dei titoli “tossici”, i derivati, in
gergo CDS (Credit Default Swaps). Sono in buona parte gli stessi che abbiamo
già elencato: Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of
America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse. Secondo il New York
Times, ogni terzo mercoledì del mese questi signori si incontrano a Manhattan
per concordare le mosse e dirigere dall’alto, e in segreto, il mercato dei junk bonds, la spazzatura
finanziaria. La fonte è, anche qui, ufficiale: un’inchiesta della Commodity
Futures Trading Commission, organo di vigilanza federale degli Stati
Uniti.
Uno studio dell’Istituto
Svizzero di Tecnologia pubblicato sulla rivista scientifica New Scientist ha scoperto che
mettendo ai raggi X il groviglio di partecipazioni incrociate nella proprietà
di tutte le 43.060 multinazionali presenti al mondo (su un database di 37
milioni di società, l’Orbis, risalente al 2007), è possibile enucleare un
gruppo privilegiato di 1.318 investitori che detiene il 60% dell’economia reale
mondiale, mobiliare e manifatturiera. Districandosi nei meandri degli assetti
proprietari, i ricercatori hanno individuato un gruppo ancora più ristretto di
nomi ancora più legati fra loro. In breve, il risultato finale vede 147
soggetti controllare il 40% della ricchezza industriale del pianeta. Meno
dell’1% è a capo dell’intero intreccio. È composto per la maggior parte, guarda
caso, da banche e fondi d’investimento. Gli stessi di sempre: Barclays, JP
Morgan Chase, Ubs, Merryl Lynch, Deutsche Bank, Credit Suisse, Goldman Sachs,
Bank of America, Unicredit, Bnp Paribas. I nodi che tengono avvinte questa
super-entità in una specie di consiglio supremo della finanza non deve far pensare
a un vertice che decide e procede all’unisono. Gli autori della ricerca
ipotizzano con ogni verosimiglianza che un tale numero, 147, è ancora troppo
elevato per concludere che sia operante una collusione scientifica. Non è
dimostrabile, insomma, che agiscano di concerto, ingegnando complotti in
sistematica concordia. E’ certamente più probabile che si considerino portatori
di interessi comuni e facciano cartello quando risulti utile per aumentare i
profitti o ci si debba difendere da tentativi di attaccarne la posizione di
dominio (eventuali colpi di coda della politica o di qualche popolazione
recalcitrante a farsi colonizzare), ma per il resto è realistico immaginare che
si sfidino sul mercato. «La realtà è talmente
complessa che dobbiamo rifuggire i dogmi, sia che si tratti di teorie
cospirazioniste o di libero mercato», ha affermato uno degli
scienziati, James Glattfelder. «La nostra analisi è basata
sulla realtà».
L’anonima sequestri
finanziaria, come si vede, non è per niente anonima.
Alessio Mannino
www.ilribelle.com 28
dicembre 2012
Non c'è a mio avviso là niente di anonimo. La politica e la grande finanza sono legate. Noi, i cittadini devono essere vigili sui nostri investimenti finanziari!
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