Il governo del liberista Monti vara la riforma Fornero, che ridotta all’osso vuol dire licenziamenti più facili e una regolamentazione del precariato, che però continuerà a esistere seppur in una forma meno caotica. Questa è anche la sensazione dei precari, gli schiavi moderni dell’economia globale.
Alessandra, 32 anni, diploma classico e laurea in sociologia a Padova, durante il periodo universitario era una studente-lavoratrice («al mattino a lezione o sui libri, di pomeriggio baby-sitter, di sera dietro al bancone di un pub») aveva tentato la via del master. «In scienza e tecnologia: ne sono uscita con un voto alto e uno stage in un istituto di ricerca», che al termine le offre un primo contratto di collaborazione, rinnovato di anno in anno ogni 4-5 mesi fino a oggi. E sono passati sei anni. «La stabilità è un miraggio, resto sempre una consulente. Porto a casa 1200 euro al mese. Per poter far quadrare i conti, col mio ragazzo che ne prende 500 in un call center e un figlio di due anni, sono tornata a fare qualche sera al pub». Le viene quasi da piangere: «C’è chi mi dice che abbiamo fatto una pazzia a fare un figlio. Una pazzia un figlio, capisci? Ma devo rinunciare all’amore e alla famiglia?». Monti e Fornero? «Ci prendono in giro. Da quel ho capito, io non potrei più essere riassunta ogni tot mesi ma a un certo punto dovrebbero darmi il tempo indeterminato. Bene: ma chi impedisce al mio datore di lavoro di ricominciare daccapo con un’altra persona, eliminando me?».
Sergio, 30 anni, si definisce «vittima dell’inferno interinale». Non è laureato, ci ha provato ma ha dovuto abbandonare per motivi economici e familiari («dovevo sostenere i miei, dopo che mio padre è andato in cassa integrazione»). La sua odissea è cominciata dieci anni fa in un supermercato come magazziniere, appena 6 mesi. Allora si è iscritto a tutte le agenzie interinali di Vicenza: «e tutte mi dicevano che lavoro non ce n’è perchè avevo un inutile diploma scientifico e non avevo esperienza. Ho frequentato dei corsi organizzati dalle agenzie, anche a pagamento: contabilità, vetrinista, di tutto…». Risultato: nulla. «Tornai al supermercato, poi riuscii a fare il commesso in un negozio di abbigliamento visto che con la parlantina ci so fare». Ma dopo un anno basta anche qui, e torna a fare il giro delle sette chiese interinali. «E sai cosa mi dissero? Che avevo troppa esperienza qua e là, frammentata…». Sergio è nero: «Quando vedo i nostri politici, compreso il presidente di questa repubblica delle banane, che vogliono solo dare un ritocchino alla loro tanto amata flessibilità mi vien voglia di… non lo dico nemmeno». No, dillo, per favore. «Altro che forcone… Ci siamo capiti, no?». Anche troppo.
Andrea aveva un sogno: lavorare in un’azienda informatica. E’ il classico cervellone tutto computer e tecnologia, ma non un nerd («mi piace la campagna e l’aria aperta, e se avessi più tempo, maledizione, farei anche più sport, la pallavolo»). Ha 27 anni ed ha una laurea in informatica. Dopo l’alloro e un 108, riesce a entrare come stagista in una ditta del ramo. «Ero pieno di entusiasmo, stavo facendo la gavetta con l’animo alle stelle, mi facevo il mazzo ma ero felice». Dopo 9 mesi ecco il cocopro, scadenza 6 mesi, ma deve trasferirsi a Milano. Lo stipendio è buono, 1800 euro al mese, ma deve pagarsi tutte le spese da solo. Lui ci prova ugualmente, un po’ di aiuto glielo danno i genitori. Lavora come un mulo, ma spera. Alla fine, non viene riassunto. «Mi hanno detto, brutalmente, che hanno la fila fuori dalla porta e se vogliono trovano pure chi lavora gratis. Mi avevano dato una chance perchè sono bravo, ma sanno che non posso resistere a lungo con l’affitto da pagare e loro un aumento non me lo danno neanche per sogno». Così ha dovuto fare le valige ed è tornato nel suo paesino del Vicentino. Invia il suo curriculum ovunque e non demorde, ma gli è rimasta dentro una grande frustrazione. «Io dico solo questo: fa bene la Cgil a combattere sull’articolo 18, perchè non è possibile concedere sempre tutto, non è giusto essere trattati come sacchi di patate, da buttare via quando non serviamo più».
Mario di anni ne ha 32 e, dopo una trafila di lavoretti precari, da 4 fa il mediatore finanziario. Lui è un privilegiato: è riuscito a conquistare il tempo indeterminato. «Ho un fisso e le provvigioni, campo bene ma vivo ancora coi miei perchè, essendo single, da solo non riuscirei a risparmiare nulla». Sul nuovo mercato del lavoro è molto critico: «Il succo del discorso è che ora sarà più facile mettere sulla strada anche me». Si parla di un’assicurazione sociale (il fondo Aspi), per chi resta disoccupato. «Anzitutto la riforma parte dal 2017, vero? Chissà i governi futuri cosa combineranno nel frattempo. E voglio proprio vedere se i soldi per il sussidio di disoccupazione ci saranno davvero». Quindi il posto di lavoro dev’essere inamovibile? «Non dico questo, ma non credo neanche un po’ alla volontà di tutelare il lavoratore, come dice la “Frignero”. L’unica soluzione sarebbe il reddito di cittadinanza, ma non ci saranno mai i soldi perchè questo vorrebbe dire ridiscutere tutto il sistema economico e sociale». Pensieri alternativi… «No, io che vivo costantemente sotto stress, che non ho il tempo neanche per pisciare, che vedo i miei colleghi più anziani imbottirsi di psicofarmaci e qualcuno beccarsi, a 40 anni, l’infarto, che con la crisi ho visto diminuire la mia clientela, che ho visto un imprenditore che conoscevo suicidarsi, penso solo che la gente che ci governa vuole solo che diventiamo automi. Sono dei bastardi».
Alessio Mannino
www.nuovavicenza.it 23 marzo 2012
è da "fassisti" dire che il precariato và abolito e che debba esistere solo e soltanto lavoro stabile e ben retribuito???
RispondiEliminanon ho mai capito perchè mi danno del "fassista" ogni volta che dico qualcosa fuori dal coro...
lelamedispadaccinonero.blogspot.it