Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

martedì 13 ottobre 2020

Appello ai Super-Veneti (con Natalino Balasso)


Il 4 ottobre scorso Natalino Balasso, artista che amo perchè fa satira culturale, di paradosso, dura e sottile al tempo stesso, ha recitato in un video sul suo canale Youtube un pezzo destinato a nessun giornale, uno scritto originato dall'insonnia nella notte post-elezioni regionali, che ha avuto una certa eco in quella camera dell'eco che è il web. Mi hanno inviato messaggi in molti, nei giorni successivi, qualcuno chiedendomi di condividere il testo per esteso. Richiesta qui soddisfatta con una variante: come nelle ripubblicazioni degli album, ho messo l'alternative version
solo leggermente differente e che preferisco. Buona lettura, e a presto per nuovi sviluppi...

Un Lukazaia che conquista da solo il 75% dei votanti, cioè astensione a parte quasi 1 su 2 cittadini maggiorenni del Veneto, e la cui lista personale surclassa il suo stesso partito, triplicandone la percentuale e umiliando la centrale salviniana, non è un uomo, è una macchina elettorale. Un imprenditore di sè stesso abilissimo nel gestire e aumentare il proprio consenso come mai s'era visto da quando è stata introdotta l'elezione diretta dei presidenti delle Regioni. Un pierre all'ennesima potenza. Il suo segreto è semplice: non amministrare con i no che andrebbero detti, ma lasciare che i Veneti abbiano la sensazione di amministrarsi da soli, con lui a fare da difensore della fede autonomista, presidiare mediaticamente il campo e segnare giusto quei goal sicuri, di grande impatto simbolico ma di discutibile applicazione e logica (Olimpiadi a Cortina, Pedemontana, addizionale Irpef al minimo) per passare da pragmatico amministratore sì, ma di condominio o al più d'azienda, che naviga scansando mareggiate e tempeste, tenendosi a debita distanza dalle polemiche in cui invece si butta a pesce la Bestia di Matteo Salvini. La zaiatudine è questo: non essere percepito come politico di parte, con tre narici sbuffanti faziosità e ideologia, anzi non essere proprio percepito come politico, bensì come un facilitatore rassicurante e mediano, leghista asintomatico e moderato tuttifrutti. Non importa che un tale profilo faccia comodo all'ideologia unica obbligatoria, che in Veneto è il "fare" (far girare l'economia, far lavorare, fare soldi, anche dovessero rimetterci l'ambiente, la salute, la cultura, l'informazione, importante è fare, anche se poi si fa poco o non abbastanza).

Al veneto medio, al veneto del profondo Veneto interessa prima di tutto che gli si dica che prima vengono il suo lavoro, il privato, i suoi affari, la sua città, il suo paese con la parrocchia e le sagre (viva le sagre, ci mancherebbe), ma se poi i risultati non sono all'altezza non è mai colpa sua, è colpa di Roma. Il che, in molti casi, è vero. Di qui l'autonomia, la bandiera di cui Zaia ha saputo appropriarsi anche perchè gli altri gliel'hanno lasciata, e che è un'esigenza genuinamente sentita a livello di massa. Però non può essere l'alibi eterno per non fare autocritica sui prezzi salati che questa terra ha pagato inquinando, cementificando e soprattutto non facendo mai i conti con il progresso etico e culturale che non è andato di pari passo con quello materiale, industriale e finanziario (la distruzione delle banche popolari, in buona misura un'autodistruzione in loco, resta lì a imperitura memoria della malagestio, direbbe qualcuno, del rampantismo al baccalà). E difatti ora siamo al vuoto, al galleggiamento, al raschio del barile, e dove c'è vuoto qualcuno lo occupa. E chi può riuscirci meglio di un personaggio omnibus che sa rendersi simpatico trasversalmente, anche all'elettorato avverso?

L'influencer Zaia, la star dei siparietti per grandi e piccini alle conferenza stampa, il tardo-democristiano corretto prosecco sa impersonare l'autobiografia della nasiòn veneta: non eccede nei toni, non si fa paparazzare, non perde una festa paesana, parla dialetto e non in politichese, impara bene nomi e cifre da sciorinare con padronanza, è ecumenico sui temi più politicizzati (sui diritti civili, per esempio), non fa piazzate con rosari e parole d'ordine da tribuno trumpiano, se cita la parola rivoluzione ci appiccica subito l'aggettivo gandhiano, quando gli si chiede del Mes non risponde alla domanda, è onnipresente ma senza dare scandalo, fa un sacco di annunci ma sa dosarli, realizza poco ma pare che combini chissacchè, sorveglia maniacalmente i feedback sui social network e dà del tu ai giornalisti che lo adorano, da destra a sinistra, perchè è il volto umano della Lega, cascando così con tutte le scarpe nella rappresentazione che vuole dare di sè. Non è cinico e bugiardo, è peggio: è furbo. Ha quella composta, rustica e intortatrice furbizia che è un tratto antropologico dell'identità veneta, del self-made man che simula e dissimula pur di arrivare all'agognato risultato: dire e dirsi "son il più bravo", il primo della classe, ho fatto i compiti a casa (frase-clou del lessico zaiano), ho lavorato pancia a terra (altro topos del doge di tutte le venezie) e ora, siori e siore, applauditemi. Se poi si va a grattare la facciata e si scopre qualche crepa, qualche muro di cartapesta, dei buchi, delle incongruenze, della corruzione mafiosa a Eraclea, un sistema tangentaro ai bei tempi di Galan sul Mose, certi disservizi che macchiano l'oleografia sulla sanità, sicuramente ben messa ma andiamoci piano con lo straparlare di eccellenza (chiedete agli asiaghesi dell'ospedale chiuso, per esempio, o ai veronesi del cirobacter), beh, son fatti isolati, incidenti di percorso, episodi stonati, lui non sapeva, tutte eccezioni che confermano la regola di una regione che va di suo e per conto suo, e che Zaia si limita ad assecondare. Perchè assecondare significa non contraddire, e non contraddire significa compiacere. E compiacere vuol dire piacere. Ovvero farsi votare, rieleggere, trionfare.

Ma chi umanamente e politicamente non ci riesce, a identificarsi nella melassa dorotea del Governator, e non perchè sia di sinistra o centrosinistra o vattelapesca ma semplicemente perchè non sta al quieto vivere che a volte è malvivere o anche non-vivere (oè, Lukazaia: ci sono anche i ragazzi che fuggono per trovare occupazione, ci sono i poveri e gli impoveriti, gli sbancati e gli anziani soli, a questi delle Olimpiadi in montagna frega zero), chi insomma non è zaiano ha bisogno più che mai della cosiddetta alternativa. Che ora, al massimo apogeo della parabola di Lukazaia, proprio ORA ha una chance. Perchè d'ora in avanti il vincitore non avrà più scuse, la sua forza potrà solo ingolfarsi e accartocciarsi su sè stessa, e la Balena Verde che si gonfierà nelle istituzioni e amministrazioni locali, data l'umana natura fatta di avidità e tracotanza, susciterà al suo interno e all'esterno invidie, gelosie, rancori, faide, rivalità, scontento e alla fine, giocoforza, stanchezza e malcontento. Il guaio è che i sedicenti oppositori, quelli per capirci ben incistati nell'andazzo per cui appena un potere forte locale chiama, loro corrono sull'attenti, fedeli come cani con la lingua di fuori, queste mummie tremebonde che fanno tanto i fighetti liberal de sinistra, non sono l'alternativa, ma l'alter ego giusto un po' più sofisticato dell'avversario. Con questi qua non si vincerà mai.

Il punto è: chi deve vincere? Quella cosa ectoplasmatica che di nome fa centrosinistra? Il Pd timorato del dio denaro? Gli abitanti di Marte rossa, antagonista e senza popolo che si chiamano ancora compagni quando purtroppo di comunità non c'è più l'ombra, spazzata via dal segaiolismo internettaro? No, devono poter almeno battersi i Veneti che non hanno portato il cervello all'ammasso, dunque che non si fanno infinocchiare anche dalle supercazzole curiali e dalle frasi fatte dei professorini e dei mestieranti che fanno opposizione non sapendola fare. Perchè per farla non bisogna partire dagli schemi e schemini a pugno chiuso, o dai luoghi comuni da spritz gusto palude, o dalle liste della spesa delle sempre meno rappresentative associazioni di categoria, ma dalla realtà concreta, contraddittoria, a volte irrazionale, incluso l'humus della provincia, sbattere in faccia i problemi per quel che sono e proporre soluzioni fattibili senza le scorciatoie del leghismo democristianizzato. Rivolgendosi alla testa ma anche alla pancia, sempre demonizzata ma che c'è e serve eccome (non ci vanno in bagno, i benpensanti che hanno sempre ragione?). Essere più veneti, cioè più popolari del venetissimo e popolarissimo Lukazaia, senza però scadere in folclore venetista nostalgico della Serenissima (pace all'anima sua): questa dovrebbe essere la scommessa. Parlare come si mangia e mangiare come si pensa (le apericiuene e le tavtine da vernissages vanno bene per i borghesotti del centro, a Merendaore vi prendono a sopressate sul cranio).

Il povero Arturo Lorenzoni, con l'ulteriore spinta (anche se non decisiva) che il Covid ha dato a Lukazaia, se ci si pensa ha fatto pure un mezzo miracolo. Ma la sua figura, di persona benintenzionata e tuttavia scialba, simboleggia la pochezza di chi l'ha mandato allo sbaraglio, una schiera di caciottari che dopo la memorabile prova dell'Alessandra Moretti non ha tentato per neanche mezzo secondo, di cambiare per tempo con sangue fresco lo zombie di centrosinistra. Di lavorare giorno per giorno per un ricambio non solo generazionale ma di personalità (spesso i giovani sono più vecchi degli anziani), per trovare un leader (sì, un leader, un capo vero, piaccia o no in politica va così, e nella politica-spettacolo ancor di più), un uomo o una donna che non fosse una scelta di disperazione all'ultimo miglio. Per non offrire ai cittadini la solita minestra riscaldata di banalità (il Veneto che vogliamo, il Veneto del futuro, il Veneto moderno: ma vogliamo cosa?, futuro quale?, moderno in che senso, che siamo così moderni che sogniamo il Tav che magna un sacco de schei, e per fare in treno Vicenza-Bassano tocca cambiare a Mestre o a Cittadella?).

Dice: ormai i pochi che si mettono in politica lo fanno per garantirsi un futuro, una sistemazione con lauto stipendio, al bene comune non ci pensa più nessuno. E' così. Ma non è sempre e in tutti i casi, così. E comunque ora, per i Super-Veneti, i veneti che vogliono superarsi, superando i difetti e le ipocrisie della propria storia recente, è una questione di sopravvivenza. Lukazaia e in subordine la Lega controlleranno praticamente tutto il controllabile. Se non si crea un argine, un movimento, una forza, chiamatelo come vi pare ma insomma un punto d'incontro tutto veneto, niente infiltrati foresti e niente monate indipendentiste (dai su, ce lo vedete qualcuno andare in galera come in Catalogna?), un'agorà fra tutti coloro che non si riconoscono in Zaia ma nemmeno nella poltiglia che dovrebbe insidiarlo (M5S compreso, che è inesistente), rischiamo di trovarci fra cinque anni un successore di Lukazaia che si chiamerà Zaialuka in do minore, con il banchetto che continuerà indisturbato sulle spoglie della pluralità di idee e di scelte. Ché poi sarebbe la democrazia, che è non solo votare. Io mi ribello.

Ps: unica condizione per aderire, non appartenere alla solita compagnia di giro che ce la smena da anni blaterando di innovation, sentiment, benchmark, marketing del territorio (ah, il "territorio", appena lo nomini ti senti già meno vergine) e il resto del birignao da perfetto nullista. I caporioni e soloni del Pd e delle altre siglette, quelle fatte a bella posta per un posto in consiglio regionale, facciano la cortesia: tolgano il disturbo. Provino l'ebbrezza di tornare a lavorare, se sanno far qualcosa. Vogliamo solo gente ruspante, non ingenuotta come i capetti delle Sardine, schietta e possibilmente - sì, lo so, esagero - sincera. Grazie. Non dobbiamo fare un partito, "solo" vedere se si raccoglie il meglio che offre la piazza. Ammesso che ci sia. E se non c'è, allora ci meriteremo lo Zaiastan a vita. 

Alessio Mannino

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