A Milano e Napoli e in molte altre città il centrosinistra ha vinto e Berlusconi, innanzitutto e soprattutto lui, ha perso. Questo è il risultato uscito dalle urne dei ballottaggi delle amministrative 2011, e su questo non ci piove. Di qui a intonare inni al cambiamento, però, ce ne corre. Certo, se mentalmente si resta chiusi nel ring destra vs sinistra, non c’è dubbio che, com’è stato detto, il vento sia cambiato. Il governo di centrodestra ha preso una sonora batosta, per il semplice motivo che parte della sua gente, delusa, gli ha voltato le spalle. La formula berlusconiana – un impasto a reti unificate di demagogia infantile e illegalismo arcitaliano – ha scaricato le pile. Ci sono voluti quasi vent’anni, ma finalmente l’ideologia berlusconiana inizia la sua meritata caduta. Ma siccome il ring, la sfida a due, monopolizza il quadro visibile della politica, cioè se non sei di qua o di là politicamente non esisti, chi va a votare se non vota l’uno vota l’altro. Ecco allora che vince la sinistra, che al secondo turno ha risucchiato il consenso dei terzopolisti (Udc, qualche Fli) e recupera quello di suoi stessi sostenitori disillusi da anni di opposizione all’acqua di rose. Interessante sarà notare i movimenti di assestamento della Lega Nord: irrimediabilmente corrotta fino al midollo, non si sgancerà da Silvio e dalle poltrone a cui si è avvinghiata. Almeno per ora. Tuttavia qualche segnale al suo generoso, ma credulone, popolo, incazzato di brutto per l’appiattimento sul Berlusca, dovrà mandarlo.
Detto ciò, parlare di cambiamento è una balla clamorosa. Qui bisogna intendersi sul significato delle parole. Per il sottoscritto, cambiare vuol dire ben altro e ben di più. Vorrebbe dire, per esempio, che la maggioranza della popolazione disertasse il rito elettorale in tutte le sue forme, facendo chiaramente capire che non c’è nessuno che la rappresenti. E ci stiamo avvicinando: la media degli ultimi tempi vede un astensionismo attorno al 35-40%. Vorrebbe dire, per continuare, che si riprendesse possesso del luogo principe della democrazia, la piazza, in nome di un rifiuto netto e radicale del sistema di vita che ci strangola: in Spagna i giovani lo stanno facendo. Vorrebbe dire, e per il momento mi fermo qui, non farsi abbindolare dalla contrapposizione fra Berlusconi o Bersani, o su scala ridotta fra Moratti e Pisapia, quando, al netto della fedina penale e grattando via la facciata, ognuno sa o intuisce che sulle scelte fondamentali (strapotere bancario, tecnocrazia europea, partitismo mafioso, sudditanza agli Usa, sviluppismo suicida), che a governare ci sia Tizio piuttosto che Caio per l’uomo della strada non cambia assolutamente nulla. (a.m.)
Nessun commento:
Posta un commento