Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

martedì 5 luglio 2011

Zuccato abbaia ma non morde


Il capo degli industriali vicentini, Roberto Zuccato, è una persona che soppesa le parole. Negli stati generali di ieri ha fatto la voce grossa, ma non ha fatto paura. Appunto perché le sue sono, almeno per ora, solo parole.
In sostanza, con quel suo «la misura è colma», ha voluto far presente il rabbioso risentimento della terza associazione confindustriale d’Italia per le promesse mancate, l’inconcludenza parolaia e la vergognosa incapacità di governo del centrodestra cui il Veneto delle piccole e medie imprese aveva dato la sua fiducia e i suoi voti. Di qui il segnale simbolico dell’assenza sul palco di politici, quei chiacchieroni che hanno davvero stufato. Ma di segnali si tratta, e basta. Di ululati alla luna. Quante volte dagli imprenditori del Nord abbiamo sentito la litanìa di una Roma che non ascolta, che non mantiene, che non fa? Da quando abbiamo i calzoni corti. E il fatto che quest’anno si siano lasciati fuori dal posto d’onore i politicanti coi loro bla bla sarà pure un messaggio chiaro e forte, ma sai che tremarella, nelle segreterie dei partiti. Già più incisivi e fattivi erano stati i colleghi di Unindustria Treviso, che di recente hanno inscenato una marcia di protesta, silenziosa ma ben più minacciosa. I fatti che giustamente Zuccato reclama (un federalismo vero e benefico, il taglio ai costi della politica, ecc) dato che non arrivano, devono trovare una risposta in altrettanti fatti da parte della sua categoria. Altrimenti anche loro, i padroni e padroncini del vapore, cadono nello stesso peccato di cui si fanno accusatori: parlare troppo, agire poco. Un’idea? Facciano dimettere chi fra loro è in parlamento, o in Regione, o a qualsiasi livello politico. Un gesto eclatante che equivarrebbe a un’assunzione di responsabilità ma anche a una presa di distanza netta e totale da un sistema bloccato, inerte, autoreferenziale.
Zuccato ha toccato anche un altro argomento chiave: la precarietà. «La precarietà impedisce di guardare lontano, di progettare il futuro», ha ben detto il presidente di Assindustria Vicenza. Ma, oltre che la sinistra (pacchetto Treu) e la destra (legge Biagi-Maroni), chi l’ha voluta, difesa, imposta la precarietà? I datori di lavoro, cioè loro, gli industriali. Recitare la giaculatoria di rito per mostrarsi sensibili alle sofferenze di una generazione non servirà ad alleviarle né tanto meno a risolverle. Si dica piuttosto: mettiamo mano alla legislazione sul lavoro mettendo al centro la vita dell’individuo. Fosse per me, questo folle modello economico fondato sul debito permanente e le crisi programmate andrebbe rivoltato da capo a piedi. Ma se vogliamo restare in un’ottica immediata, almeno si reimposti la flessibilità lavorativa sul seguente assunto: in cambio di contratti a tempo si attribuiscano garanzie obbligatorie via via crescenti. Insomma: assunzioni temporanee e a paga ridotta come decollo iniziale, e poi un graduale ma garantito percorso verso l’occupazione stabile e piena. Ci aspetteremmo concretezza, dai rappresentanti dell’industria, visto che è la concretezza che dicono di volere. (a.m.)

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