Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

lunedì 7 novembre 2011

Io non compro il debito

Lo scorso 4 novembre un imprenditore di Prato, Giuliano Melani, ha pagato una pagina sul Corriere della Sera (Della Valle l’Indignatod’s sta facendo proseliti) per lanciare l’idea: compriamo un pezzo di debito italiano acquistando i Bot, Cct e Btp. Secondo i calcoli dell’industriale toscano, una cifra utile si aggirerebbe sui 4.500 euro, di cui molti sicuramente dispongono. Oggi, sempre sul Corsera, gli fa eco un articolo di Dario Di Vico che racconta come (sorpresa!) a imitare l’esempio del patriottico collega sia un ex parlamentare leghista di Oderzo, il Bepi Covre senza peli sulla lingua: «quando l'acqua tocca il culo bisogna imparare a nuotare. Chi vuol sognare la Padania, la sogni pure. Io non posso permettermi di sognare e quindi cerco di aiutare l'Italia». Sempre in Veneto il quotidiano online NordestEuropa sta organizzando una campagna a favore della sottoscrizione per la Patria. «Il default dell'Italia manderebbe in rovina prima di tutto le nostre imprese e l'intera economia del territorio», è la tesi dell’appello rivolto a giornali, associazioni di categoria, sindacati e ordini professionali locali.
Il desiderio di fare la propria parte per non sprofondare in una crisi di tipo argentino è senz’altro un intento lodevole. Ma siamo sicuri che sia una trovata sensata tirar fuori altri soldi oltre a quelli che dovremo sborsare per aumenti fiscali, minori servizi, tariffe più costose in seguito a privatizzazioni per non dire delle spese da sobbarcarsi per mantenere in famiglia, almeno chi può, la massa di licenziati prossimi venturi, ossia per finanziare, come sempre di tasca nostra, le misure lacrime e sangue imposte dalla triade Ue-Bce-Fmi? A me pare di avere a che fare con un caso di sindrome di Stoccolma: la vittima che corre in aiuto del carnefice. Lo Stato, infatti, non siamo più noi. Noi italiani, per lo meno dalla firma del Trattato di Maastricht in giù, abbiamo rinunciato alla sovranità monetaria, finanziaria, economica e di fatto politica (un "colpo di Stato finanziario di proporzioni storiche", l’ha definito l’economista americano Michael Hudson). Siamo marionette i cui fili sono tirati a Francoforte, a Bruxelles e nei palazzi delle tecnocrazie apolidi. Quindi, cari imprenditori, credendo di fare i patrioti non state salvando l’Italia, state contribuendo a mantenere in piedi un potere dittatoriale e arbitrario, quello delle grandi banche private soprattutto tedesche e francesi che eterodirigono la Banca Centrale Europea e giocano coi destini dei popoli, in combutta con una manciata di grandi istituti finanziari manovratori dei famigerati “mercati” mondiali. So già che mi replichereste: e tu cosa proponi? La via adottata proprio in Argentina, che è riuscita a rialzarsi dal collasso in cui era precipitata facendo esattamente l’opposto di quanto prescrivono meccanicamente a tutti i paesi i falsi tecnici del Fondo Monetario. L’Argentina si trovava in una situazione simile alla nostra se non peggiore (peso agganciato a un dollaro ipervalutato come il nostro euro, un altissimo debito pubblico, Pil in recessione), ma invece di farsi schiavizzare da un occupante straniero, in quel caso l’Fmi, ha fatto default, ripudiato il debito, ripreso il controllo della moneta, nazionalizzato al limite dell’autarchia le più grosse banche e industrie strategiche, e adottato un sano e pragmatico protezionismo. Buenos Aires, ma anche Brasile, India, Cina e la piccola Islanda, ciascuno con contesti e forme differenti (non sempre condivisibili, specie a Pechino), stanno lì a dimostrarlo: il Paese che si riappropria della sovranità sorge a nuova vita, diventa florido e crea ricchezza (il tasso di disoccupazione argentino è sceso dal  23% del 2002 all’attuale 7%). Abbandonando l’euro e denunciando il debito ci sarebbe lo stesso un duro prezzo da pagare nel breve-medio periodo? Certo, ma poi si tornerebbe liberi. Anche di indebitarci per conto nostro, come fece l’oscena classe politica italiana degli anni ’70-’80. Ma meglio sbagliare da soli che far la fame precludendoci a priori la possibilità di vedere una luce in fondo al tunnel. Perché, gira e rigira, continuando a difendere quest’Europa dei banchieri rimarremo dentro una gabbia non smettendo mai di svenarci e impoverirci. I motivi sono due e sono semplicissimi: una banca lucra sul debito, che perciò è molto meglio se resta abbastanza alto da non potersi estinguere mai, e una crescita esponenziale all’infinito non è fisicamente, umanamente ed economicamente possibile. Parafrasando il Financial Times: in nome di Dio, dell’Europa e dell’Italia, Cristina Kirchner (tra l’altro una bella donna), vieni a fare tu il prossimo presidente del consiglio italiano! (a.m.)

Nessun commento:

Posta un commento