Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

lunedì 13 giugno 2011

Ha vinto il buonsenso

 
Quorum raggiunto e plebiscito per i sì, a chi la vittoria? Non al centrosinistra, non a questo o quel partito (volendo, l’unico autorizzato ad attribuirsela è l’IdV di Di Pietro, che si è fatto il mazzo a raccogliere le firme), non ai sostenitori dell’ultima ora come il liberalizzatore Bersani, non agli avvoltoi che li riducono a un’altra, che pure c’è stata, battaglia in chiave anti-berlusconiana. Ha perso sicuramente il governo Berlusconi, che dell’ideologia del privato è stato il fautore più sfacciato e accanito. Ma ha perso anche il Pd. Il partito delle lenzuolate e del riformismo soft ora sostiene la capziosa distinzione fra privatizzazione selvaggia e liberalizzazione controllata del settore idrico. In sostanza non è contrario al ricorso ai privati nella gestione dell’acqua, ma intende realizzarlo a condizione diverse da quelle previste dal centrodestra, cioè senza una quota di capitale fisso e senza un dividendo obbligatorio ma tramite una gara che, sia pur mantenendo le reti in mano pubblica, può affidare in toto la loro conduzione a un investitore privato. A me, e non credo di essere il solo, pare invece che gli italiani abbiano detto un no chiaro e tondo al privato in sè e per sé. Perché questo era il messaggio, volutamente generico ma indubbiamente efficace, grazie al quale il sì ha trionfato. E lo conferma la bocciatura dell’atomo, che non deriva soltanto dal recente terrore suscitato da Fukushima ma anche e soprattutto da una storica repulsione dell’Italia profonda per il volto peggiore, disumano, della modernità tecnologica.
La sconfessione del vergognoso lodo salva-premier ha beneficiato di questa onda lunga di rifiuto. Essendo il più politicamente marcato fra i quesiti, fosse stato l’unico a dover essere votato probabilmente non sarebbe andata com’è andata. Ma anche su questo tema si è aperta una breccia oltre il bipolarismo straccione: prova ne siano i sì piovuti dal turbolento leghismo in crisi (e forse anche da qualcuno del Pdl, che ha capito che Berlusconi è ormai l’ingombrante nemico di sé stesso e del suo partito).
A vincere sono stati i cittadini comuni impegnati nel fiume carsico e carbonaro dei comitati per l’acqua bene comune, delle associazioni ambientaliste, dei movimenti territoriali o semplicemente dei tanti, singoli individui dotati di occhi orecchi cuore e cervello, stufi di subire l’idolatria trasversale del mercato unico dio. E’ stata sconfitta la cultura dominante della privatizzazione di tutto: delle risorse naturali (acqua), dell’energia (nucleare) e della cosa pubblica (leggi ad personam). Non è un discorso “da comunisti”, come sbrigativamente un vieto luogo comune liquida chiunque critichi - direbbe quel falsario di Tremonti - il “mercatismo”. E’ buon senso. Il perché è semplice. Il teorema in voga dice che per finanziare gli investimenti che lo Stato e gli enti locali non ce la fanno a coprire, ad esempio i 40 miliardi di euro necessari a mettere a posto il colabrodo degli acquedotti nazionali, c’è bisogno dei privati. Ma questi benedetti privati non sono dame di carità che portano i loro denari in dote all’amministratore pubblico per amore del bene collettivo: sono capitalisti che hanno l’obbiettivo di ricavare il massimo profitto dal proprio investimento. Potete fissare tutti i paletti che volete, ma una volta fatti i conti ci si accorgerà immancabilmente che il servizio dovrà sottostare a un criterio puramente economico, e se non dovessero quadrare, a pagare in ultima istanza saranno i clienti, cioè noi. Delle centrali nucleari, poi, meglio non parlarne nemmeno: sono anti-economiche con evidenza schiacciante, per costruirle bisognerebbe ricorrere alla tasse poiché a garantirne la convenienza per i privati dovrebbe essere, alla faccia del libero mercato, lo Stato. Cioè, ancora una volta, noi.
Dice: ma col mantenimento del pubblico è sempre sulle nostre spalle, anzi sulle nostre tasche, che grava il peso dei servizi. Certamente, ma allora vogliamo una buona volta metterci a pensare a un altro modello di sviluppo? Prendiamo le energie rinnovabili. E’ verissimo che non riuscirebbero a coprire il fabbisogno energetico. Quello attuale, però. Ossia la fame sovralimentata di energia da parte di un’economia in sovrapproduzione permanente e disperata. Saggezza vorrebbe che ci dessimo una calmata. In altri termini: che ci sganciassimo dal ricatto della crescita infinita. E’ inseguendo una crescita non più possibile che interi paesi stanno cadendo nella miseria uno dopo l’altro (Grecia, Portogallo, Irlanda, la Spagna è in bilico, l’Italia ci è vicina). Un’altra ideologia anche questa? Se si vuole, sì. Con la piccola differenza che per questa via si riprenderebbe il controllo di quella sacrosanta ricerca del benessere che ci è sfuggita di mano e che non è più al nostro servizio, ma noi al suo. (a.m.)

2 commenti:

  1. Mi e' piaciuto, complimenti. Purtoppo siamo ancora in pochi a pensare che un riequilibrio del tutto e' l'unica soluzione possibile.

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  2. Perciò decrescita....siamo arrivati al picco con il petrolio e da qui in avanti ce ne sarà sempre meno perciò tutti in futuro saremo costretti a decrescere tipo quando nei primi anni 70 c'era la crisi del petrolio e andavamo in bici o piedi per chi c'era poi il petrolio lo abbiamo rubato dove c'era ancora con le guerre e ora che le prospettive dicono che in futuro non ce ne sarà più di così tanto dobbiamo decrescere...c'è chi ha già cominciato a parlarne e ad attuare la decrescita e penso che piano piano coinvolgerà tutti. Grazie Alessio bell'articolo. Antonella Zarantonello

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